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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Cartelli e interessi moratori – La Corte di Giustizia legittima la Commissione a richiedere gli interessi per il ritardato pagamento di una sanzione antitrust anche se successivamente ridotta dai giudici

Con sentenza del 20 dicembre scorso, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CdG) ha respinto l’appello proposto dalla società Trioplast Industrier (Trioplast), operante nel settore della produzione di sacchi industriali, avverso la decisione del Tribunale dell’Unione Europea (Tribunale) di riconoscere la legittimità della lettera (Lettera) con la quale la Commissione europea (Commissione) aveva richiesto a Trioplast il pagamento di più di 674.000 euro in interessi per il ritardo nel pagamento di una sanzione antitrust irrogata nel 2005.

Questi i fatti all’origine della controversia: nel 2005 la Commissione ha irrogato ad una società controllata da Trioplast, Tripolast Wittenheim, una sanzione pari a 17.85 milioni di euro per la partecipazione ad un’intesa anticoncorrenziale, riconoscendo Trioplast solidamente responsabile per una parte di tale sanzione pari a 7.73 milioni. La Commissione ha quindi stabilito un termine entro il quale detta sanzione avrebbe dovuto essere pagata, pena la condanna al pagamento degli interessi per il ritardo. Tale decisione, per quanto riguardava Trioplast, è stata poi parzialmente annullata dal Tribunale nel 2010, che ha ridotto a 2.73 milioni l’ammontare dell’ammenda gravante sulla prima. Trioplast procedeva quindi al pagamento della sanzione, nell’importo così rideterminato dal Tribunale.

Tuttavia, con la Lettera oggetto della controversia in commento, la Commissione richiedeva a Trioplast il pagamento degli interessi moratori, calcolati sulla base dell’ammontare della sanzione rideterminata dal Tribunale, ma a decorrere dall’originaria scadenza imposta dalla Commissione con la propria decisione del 2005. Trioplast impugnava tale Lettera, contestandone la legittimità, sull’assunto che la rideterminazione della sanzione da parte del Tribunale in parziale annullamento della decisione della Commissione del 2005 dovesse essere interpretata come l’imposizione di una nuova e diversa sanzione rispetto a quella irrogata dalla Commissione, con la conseguente impossibilità di far decorrere gli interessi moratori a partire dalla scadenza originariamente stabilita nel 2005.

Con la sentenza in commento, la CdG, confermando quanto già affermato dal Tribunale, ha respinto il ricorso di Trioplast negando alla Lettera della Commissione il valore di atto autonomamente impugnabile in giudizio, posto che detta Lettera non ha determinato alcuna modifica in relazione all’obbligazione di pagamento gravante su Trioplast già a partire dalla decisione del 2005. Secondo la CdG, l’obbligo di pagamento della sanzione e dei relativi interessi moratori sarebbe disceso direttamente dalla decisione della Commissione del 2005, come modificata dalla sentenza del Tribunale nel 2010, con la conseguente impossibilità di ritenere la successiva Lettera produttiva di autonome conseguenze giuridiche, e, pertanto, direttamente impugnabile in giudizio.

La CdG ha in ogni caso tenuto a precisare come il caso di specie differisse da quello oggetto della recente sentenza del 19 gennaio 2017 (Commissione c. Total e Elf Aquitaine, commentato in questa Newsletter), nella quale la CdG ha riconosciuto valore di atto autonomamente impugnabile alle lettere inviate dai servizi contabili della Commissione al fine di richiedere il pagamento degli interessi di mora per ritardato pagamento di una sanzione antitrust, posto che nel caso oggetto di tale sentenza la Commissione aveva richiesto il pagamento di interessi di mora, nonostante (e a differenza del caso di specie) il versamento dell’intero importo iniziale dell’ammenda, con la conseguenza di aver determinato, di fatto, una modifica dell’obbligo pecuniario gravante sulle società. In quel caso infatti, la CdG aveva concluso che non essendo mai stato contestato alcun ritardo nei pagamenti da parte delle società coinvolte (a differenza del caso in commento), “..con le lettere controverse la Commissione non poteva richiedere, legittimamente, […] interessi di mora per l’ammenda inflitta nella decisione..”.

Martina Bischetti
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Diritto della concorrenza Italia / Abuso di posizione dominante e servizi di terminazione degli SMS – L'AGCM sanziona Telecom Italia e Vodafone Italia per circa 10 milioni per abusi di posizione dominante nel mercato degli SMS aziendali

Con distinti provvedimenti pubblicati lo scorso 28 dicembre l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato per circa 10 milioni complessivi  Telecom Italia S.p.A. solidalmente con la sua controllata Telecom Italia Sparkle S.p.A (TI) e Vodafone Italia S.p.A. (Vodafone) a conclusione di due procedimenti  in cui sono state accertate in capo  a detti operatori condotte abusive della propria posizione dominante nel mercato dei servizi all’ingrosso di terminazione SMS su propria rete, con effetti sul mercato al dettaglio dei servizi di invio massivo degli SMS informativi aziendali.

I servizi di invio massivo di SMS (c.d. bulk SMS) consentono alle imprese di inviare un consistente numero di messaggi di testo alla propria clientela per comunicazioni di carattere generale e, dal punto di vista della domanda, questo servizio non è sostituibile con i servizi di comunicazione alternativi (come WhatsApp, Viber, Snapchat) dal momento che gli SMS non hanno bisogno di una connessione dati per giungere a destinazione e dunque garantiscono una maggiore probabilità di consegna. Tale servizio è fornito sia da operatori di rete mobile (MNO) che da operatori specializzati, c.d. "aggregatori di SMS". Questi ultimi, tuttavia, per fornire tale servizio, hanno comunque bisogno di acquistare all'ingrosso il servizio di terminazione SMS sulla rete di un MNO che, come per i servizi vocali, si trova in una posizione dominante nel mercato dei servizi di terminazione della propria rete, essendo l’unico operatore in grado di consegnare il messaggio SMS ai propri clienti.

L’AGCM aveva aperto i due procedimenti a valle di una segnalazione dell’operatore Ubiquity S.r.l., (società concorrente di TI e Vodafone nel mercato dei servizi in questione) che aveva lamentato che TI e Vodafone applicavano tariffe ai clienti retail per l’invio di SMS informativi aziendali non replicabili nel mercato a valle da parte di concorrenti altrettanto efficienti (si veda la Newsletter del 21 novembre 2016).

A conclusione della propria indagine l’AGCM ha ritenuto che Vodafone e TI avessero abusato della propria posizione dominate ponendo in essere delle condotte di discriminazione interno-esterno di tipo tecnico ed economico tali da determinare una compressione dei margini a discapito dei concorrenti nel mercato a valle dove operano operatori che acquistano la terminazione SMS verso la rete mobile rispettivamente di Vodafone e TIM.

A suffragare la già evidente posizione di dominanza dei due operatori nei rispettivi mercati a monte della terminazione SMS sulla propria rete (essendo gli unici a poter tecnicamente consegnare gli SMS agli utenti della propria rete), l’AGCM ha richiamato anche alcuni documenti interni delle parti in cui tale dominanza emergeva chiaramente, così come il fatto che i rivenditori di SMS non erano in grado di costituire un vincolo competitivo in quanto non in grado di rivendere la terminazione SMS ad un prezzo inferiore a quello di TI e Vodafone senza incorrere in perdite (ad es., un documento interno di Vodafone in cui si leggeva che “VF ha la dominanza nei mercati della terminazione degli SMS…”).

Inoltre, per l’AGCM TI e Vodafone hanno applicato tariffe sia sul mercato a monte che sul mercato a valle dell’invio massivo di SMS che rendevano il margine potenziale per i concorrenti nel mercato al dettaglio insufficiente a coprire i costi specifici per fornire i servizi ai clienti finali. Tali condotte per l’AGCM sarebbero state idonee a compromettere la capacità competitiva dei concorrenti attivi in tale mercato.

In particolare, l’AGCM ha analizzato gli elementi di costo alla base della c.d. “soglia critica” per un concorrente altrettanto efficiente per comprendere se l’offerta al dettaglio di TI e Vodafone fosse inferiore o meno ai costi di produzione del servizio (nei casi di specie il servizio di invio massivo di SMS). A detta dell’AGCM è stato peraltro utilizzato un approccio cautelativo, nella misura in cui è stata utilizzata come soglia critica una sorta di prezzo minimo che considerava solo i costi di interconnessione del servizio, non valorizzando ulteriori elementi incrementali, per cui una tariffa inferiore a tale livello di costo avrebbe comportato dei margini sicuramente negativi per un concorrente nel mercato a valle. L’AGCM ha concluso che TI e Vodafone hanno predisposto delle offerte al dettaglio che hanno un prezzo inferiore a tali costi. Al fatto che dette offerte comportavano l’applicazione di un prezzo non replicabile per un concorrente altrettanto efficiente, si è aggiunta la contestuale applicazione di esclusive per un periodo medio-lungo o l’applicazione di sconti retroattivi al raggiungimento di determinate soglie di volumi. Inoltre i due operatori, verticalmente integrati, avrebbero offerto alle proprie divisioni prezzi inferiori rispetto agli altri operatori, tali da non permettere ad un concorrente altrettanto efficiente di poter competere efficacemente nel mercato al dettaglio dell’invio massivo degli SMS, con effetto potenzialmente escludente.

Entrambe le violazioni sono state ritenute gravi dall’AGCM, per cui sono state comminate sanzioni pari rispettivamente a circa € 5.8 milioni per Vodafone e circa € 3.7 milioni per TI.

Cecilia Carli
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Istruttorie e diritto di accesso - Il Tar Lazio accoglie parzialmente il ricorso di Imballaggi Piemontesi in materia di accesso ad alcuni documenti nell’ambito dell’istruttoria AGCM nel settore del cartone ondulato

Con la sentenza n. 12445 pubblicata lo scorso 18 dicembre, il Tar Lazio ha accolto parzialmente il ricorso presentato da Imballaggi Piemontesi S.r.l. (la Società) avverso i provvedimenti con i quali l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), a fronte di diverse istanze formulate dalla Società, ha negato o reiterato il differimento dell’accesso ad alcuni documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento I805 (tra cui le segnalazioni e la leniency application all’origine dell’avvio dell’istruttoria, estesa soggettivamente e oggettivamente a marzo e dicembre 2017 e tuttora in corso).

Il procedimento rispetto al quale si innesta la sentenza in commento riguarda una presunta intesa sui prezzi e sulla modalità di vendita tra i principali produttori nazionali di cartone ondulato, nonché una presunta collusione in merito alla produzione e vendita di imballaggi realizzati con cartone ondulato, quest’ultima posta in essere anche mediante incontri tra i professionisti e scambio di informazioni commercialmente sensibili.

Con il ricorso in parola, la Società ha richiesto al Tar Lazio di ordinare l’immediata e tempestiva esibizione (ex art. 116, comma 4, del Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 – Codice del processo amministrativo) di: i) la documentazione per la quale l’AGCM ha ritenuto di differire l’accesso riservandosi di valutarne l’ostensibilità al momento della trasmissione della comunicazione delle risultanze istruttorie; ii) le richieste di collaborazione inviate dall’AGCM alla Guardia di Finanza; e iii) la richiesta di ammissione al programma di clemenza predisposta dal leniency applicant.

Il collegio ha condiviso l’impostazione dell’AGCM in merito al diniego di accesso opposto con riferimento alle proprie note interne e corrispondenza con la Guardia di Finanza (di cui al punto sub ii che precede) sulla scorta di quanto previsto all’art. 13, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1998, n. 217 - Regolamento in materia di procedure istruttorie di competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Regolamento), che esplicitamente sottrae “all'accesso le note, le proposte ed ogni altra elaborazione degli uffici con funzione di studio e di preparazione del contenuto di atti”.

Parimenti, il giudice di prime cure ha avallato la condotta dell’AGCM di differire l’accesso alla documentazione inerente alla leniency application (di cui al punto sub iii che precede) in quanto tale accesso verrebbe consentito solo se nei confronti della Società venisse formulata la contestazione degli addebiti, in ossequio a quanto disposto dall’art. 10-bis della Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287.

In relazione alla documentazione di cui al punto sub i che precede, il Tar si è, tuttavia, discostato dalla posizione dell’AGCM, in quanto quest’ultima non avrebbe sufficientemente e congruamente motivato le ragioni del differimento, come, invece, richiesto dall’art. 13, comma 10, del Regolamento, che recita: “L'ufficio può disporre motivatamente il differimento dell'accesso ai documenti richiesti sino a quando non sia accertata la loro rilevanza ai fini della prova delle infrazioni, e comunque non oltre la comunicazione delle risultanze istruttorie di cui all'articolo 14” (enfasi aggiunta).

Pertanto, il Tar Lazio ha accolto parzialmente il ricorso della Società, ordinando all’Autorità di annullare gli atti di differimento dell’accesso alla summenzionata documentazione e di ri-pronunciarsi motivatamente (e non limitandosi a richiamare la normativa di riferimento, come precedentemente avvenuto) sulle relative istanze di accesso non oltre 30 giorni dalla notificazione o comunicazione (se anteriore) della sentenza.

Filippo Alberti
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Trasporti / Trasporto passeggeri e servizi informatici – La Corte di Giustizia afferma che Uber fornisce un servizio di trasporto e non un servizio di mera intermediazione

Lo scorso 20 dicembre, la Corte di Giustizia (CdG) si è pronunciata in via pregiudiziale, nella causa C-434/15, sulla natura del servizio offerto da Uber. La causa traeva origine da una controversia promossa, davanti ai giudici spagnoli, da un’associazione rappresentativa dei tassisti di Barcellona contro Uber System SpainSL (Uber), volta ad accertare l’(asserita) illiceità delle attività di Uber, nella misura in cui avrebbero violato la normativa spagnola in tema di trasporto, costituendo così atti di concorrenza sleale. In particolare, le attività in questione riguardavano la fornitura da parte di Uber, tramite una app per smartphone, di un “…servizio retribuito di messa in contatto di conducenti non professionisti, privi di licenze e autorizzazioni amministrative, che utilizzano il proprio veicolo con persone che intendono effettuare spostamenti urbani…”.

Il tema della sentenza in commento verte pertanto sulla qualificazione dell’attività di Uber. Infatti, qualora i servizi di Uber fossero considerati come servizi di trasporto, la normativa di settore (in questo caso spagnola) potrebbe prevedere l’obbligo di possedere una previa autorizzazione amministrativa. Al contrario, nel caso in cui l’attività di Uber fosse considerata come un “servizio proprio della società dell’informazione”, si applicherebbero le disposizioni di cui alle Direttive 2006/123 (sui servizi nel mercato interno) e 2000/31 (sul commercio elettronico) che escluderebbero, salvo rari casi, la subordinazione ad un regime di autorizzazione.

Innanzitutto, la CdG chiarisce cosa debba intendersi come “servizio della società dell’informazione” ai sensi della Direttiva 2000/31, affermando che “…un servizio di intermediazione che consente la trasmissione, mediante un’applicazione per smartphone, delle informazioni relative alla prenotazione di un servizio di trasporto tra il passeggero e il conducente non professionista, che usando il proprio veicolo, effettuerà il trasporto…” soddisferebbe, in linea di principio, i requisiti richiesi dalla Direttiva in parola (e non potrebbe quindi pertanto essere qualificato come servizio di trasporto).

Tuttavia, la CdG precisa come il servizio di Uber “…non è soltanto un servizio d’intermediazione…”. Infatti, la CdG afferma come Uber “…crea al contempo un’offerta di servizi di trasporto urbano che rende accessibile […] con strumenti informatici…”. La CdG elenca quindi una serie di elementi, aggiuntivi e ulteriori, che caratterizzano l’attività offerta da Uber. In particolare, secondo la CdG, senza l’applicazione di Uber, da un lato, i conducenti non sarebbero indotti a fornire servizi di trasporto e, dall’altro, le persone che intendono effettuare uno spostamento non ricorrerebbero ai servizi di tali conducenti. Inoltre, la CdG evidenzia come Uber esercita una influenza determinante sulle condizioni della prestazione dei conducenti. Infatti, tra le altre cose, Uber fissa, tramite l’app, il prezzo massimo della corsa, esercita un controllo sulla qualità dei veicoli e dei conducenti, nonché sul comportamento di quest’ultimi (che, se del caso, può portare alla loro esclusione).

Per tali ragioni, la CdG ritiene che il servizio di intermediazione offerto da Uber deve essere considerato come parte integrante di un servizio complessivo “…in cui l’elemento principale è un servizio di trasporto…”. Pertanto, non può essere qualificato come servizio della “società dell’informazione” e conseguentemente viene esclusa l’applicazione della relativa disciplina.

Infine, la CdG evidenzia che, poiché il servizio di Uber rientra nella categoria dei “servizi nel settore dei trasporti”, in assenza di una disciplina comune a livello europeo che regoli i servizi di trasporto non collettivi in aerea urbana, “…è compito degli Stati membri disciplinare le condizioni di prestazione…” di tale servizio.

Jacopo Pelucchi