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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Antitrust e linee di policy – La Commissione pubblica la propria relazione annuale sulla politica di concorrenza
Lo scorso 18 giugno la Commissione europea (Commissione) ha pubblicato la propria relazione annuale (Relazione), con cui ha presentato una sintesi delle azioni intraprese in materia di concorrenza nel 2017, sottolineando l’importanza dei settori riguardanti l’economia digitale, l’energia, l’agrochimica e i prodotti farmaceutici, così come le industrie di rete e i mercati finanziari quali ambiti in cui si sono concentrati gli sforzi in materia di politica di concorrenza.
La Relazione si apre ricordando le iniziative legislative della Commissione, richiamando in particolare (i) la proposta del marzo 2017 di nuove norme per conferire alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri maggiori poteri di applicazione e a far sì che questi ultimi dispongano di tutti gli strumenti necessari, che si dovrebbe manifestare sotto forma di una direttiva per garantirà il rispetto delle specificità nazionali; (ii) l’introduzione, sempre nel marzo 2017, di un nuovo strumento di informativa anonima, che permette a chiunque sia a conoscenza dell’esistenza o del funzionamento di un cartello o di altri tipi di violazioni della normativa antitrust di collaborare per mettere fine a tali pratiche. Secondo i dati ottenuti dalla Commissione, dopo i primi mesi di impiego di tale strumento emergerebbe che il nuovo canale è stato ben accolto e viene utilizzato regolarmente; (iii) l’estensione dell’ambito di applicazione del regolamento generale di esenzione per categoria in materia di aiuti di Stato ai porti e agli aeroporti e l’introduzione di ulteriori semplificazioni in altri campi, come i progetti culturali e le infrastrutture sportive multifunzionali, nonché un sistema di compensazione per le imprese che operano nelle regioni ultra-periferiche dell’UE. La Relazione sottolinea che ciò comporterà una maggiore semplicità per gli imprenditori edilizi e le autorità che concedono gli aiuti e permetterà di attuare gli investimenti infrastrutturali più rapidamente e nella piena certezza giuridica.
Passando all’analisi delle attività svolte nel settore digitale, viene richiamata la decisione della Commissione che ha sanzionato Google per 2,42 miliardi di euro per aver abusato della sua posizione dominante promuovendo il proprio servizio di acquisti comparativi tra i risultati della ricerca. La Commissione indica altresì che (i) sta continuando a indagare sui possibili abusi di posizione dominante da parte di Google in altri due casi, riguardanti i servizi e le applicazioni mobili e gli annunci di intermediazione pubblicitaria di Google che appaiono su altri siti Internet; (ii) ha esaminato gli accordi di distribuzione di Amazon con gli editori di e-book in Europa, contenenti clausole c.d. “della nazione più favorita”, che invitavano gli editori ad offrire ad Amazon termini e condizioni simili, ma in ogni caso migliorative, di quelle offerti ai suoi concorrenti e/o a informare Amazon circa termini alternativi o più favorevoli di quelli riservati ai concorrenti di Amazon. Nel maggio 2017, la Commissione ha reso vincolanti gli impegni proposti da Amazon ritenendo che gli stessi permettano di garantire innovazione e concorrenza leale nel mercato europeo degli e-book e di aumentare la scelta e la concorrenza a vantaggio dei consumatori europei. Sempre in relazione al mercato digitale, nel maggio del 2017 la Commissione ha pubblicato la relazione finale sull’indagine settoriale sul commercio elettronico, rilevando come essa abbia già spinto alcune imprese a rivedere le loro pratiche commerciali di propria iniziativa e che uno dei principali obiettivi della strategia della Commissione in materia di mercato unico digitale è quello di accordare migliori condizioni di accesso a beni e servizi per i consumatori e le imprese, ponendo fine ai blocchi geografici ingiustificati e assicurando la portabilità transfrontaliera di servizi di contenuti online.
Quanto invece al settore dei media, la Commissione ha indicato di porre particolare attenzione alle garanzie di accesso agli input principali, ossia ai contenuti, alla tecnologia o all’interconnessione. Quanto alle attività svolte, nell’aprile del 2017, la Commissione ha dapprima approvato la proposta di acquisizione di Sky da parte della 21st Century Fox e, successivamente, a maggio ha approvato l’acquisizione del controllo de facto di Telecom Italia da parte di Vivendi, attive sul mercato dell’accesso all’ingrosso alle reti digitali terrestri per la trasmissione di canali televisivi. La Commissione ha rilevato che, successivamente all’operazione, Vivendi, che deteneva anche una partecipazione di minoranza qualificata in Mediaset, avrebbe avuto un incentivo ad aumentare i prezzi applicati da Persidera (controllata da Telecom e quindi, post-operazione, da Vivendi) ai canali televisivi sul mercato dell’accesso all’ingrosso alle reti televisive del digitale terrestre, nella quale il principale operatore è Elettronica Industriale (controllata da Mediaset nella quale, come accennato, Vivendi detiene una partecipazione non di controllo ma qualificata). Al fine di risolvere le problematiche di concorrenza identificate dalla Commissione, Vivendi si è impegnata a cedere le quote detenute da Telecom Italia in Persidera. Infine, la Commissione ha ricordato che intende incoraggiare la diffusione della banda larga e che nel 2017 ha contribuito attivamente, con particolare riferimento alle norme sugli aiuti di Stato, all’istituzione della nuova rete europea di centri di competenza sulla banda larga e alla concezione di un pacchetto di strumenti per la diffusione della banda larga nelle zone rurali.
In materia di controllo di concentrazioni, la Commissione ha richiamato poi l’ammenda di 110 milioni di euro inflitta a Facebook per aver fornito informazioni inesatte e fuorvianti quando aveva notificato l’acquisizione di WhatsApp nel 2014, laddove all’epoca aveva informato la Commissione che non sarebbe stato in grado di provvedere all’abbinamento automatico e affidabile degli account degli utenti di Facebook con quelli di WhatsApp (cosa che invece in seguito, la Commissione ha scoperto essere possibile, e che Facebook era a conoscenza di tale possibilità). Tale decisione avverte chiaramente le imprese che è necessario rispettare tutte le regole riguardanti le norme dell’UE in materia di concentrazioni, tra cui l’obbligo di fornire informazioni corrette.
Inoltre, la Relazione indica quale obiettivo della Commissione la promozione di una concorrenza effettiva in mercati concentrati, richiamando in particolare la decisione del settembre 2017 nel caso Intel, in cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito il contesto per verificare la legittimità degli sconti di esclusiva applicati dalle imprese in posizione dominante.
Passando poi al settore farmaceutico, la Relazione menziona in particolare l’avvio nel maggio del 2017 del procedimento avente ad oggetto le pratiche tariffarie adottate da Aspen Pharma per cinque farmaci salvavita contro il cancro. La Commissione sta valutando se questa azienda abbia abusato o meno della sua posizione dominante e procederà in via prioritaria a un’analisi approfondita. La Commissione ha inoltre vigilato sui tentativi da parte di aziende produttrici di farmaci innovativi di ritardare o di ostacolare l’introduzione di farmaci generici sul mercato. In particolare, nel luglio 2017, ha inviato una comunicazione degli addebiti all’azienda farmaceutica Teva. Secondo la comunicazione degli addebiti, l’accordo di composizione delle controversie in materia di brevetti concluso tra le aziende farmaceutiche Cephalon e Teva può aver ritardato l’introduzione di un farmaco generico più economico, causando l’aumento del prezzo del modafinil e arrecando un danno significativo ai pazienti e ai bilanci del servizio sanitario dell’UE.
Nell’ambito del settore dell’agrochimica, la Commissione ha ricordato di aver valutato le recenti fusioni avvenute tra Dow e Dupont, tra Syngenta e ChemChina, così come tra Bayer e Monsanto. Tutte le decisioni sono derivate da un’analisi approfondita delle operazioni proposte. Quanto alla seconda, la Commissione temeva, in via preliminare, che il progetto di acquisizione avrebbe potuto ridurre la concorrenza in una serie di mercati differenti, causando un aumento dei prezzi, un abbassamento della qualità, una riduzione della varietà di scelta e una minore innovazione.
Quanto alle industrie manifatturiere, trova spazio nella Relazione la decisione dell’aprile 2017 con cui la Commissione ha vietato la proposta acquisizione di Cemex Croatia da parte di HeidelbergCement e Schwenk. La Commissione temeva fortemente che tale acquisizione avrebbe ridotto in modo significativo la concorrenza sui mercati del cemento grigio e aumentato i prezzi in Croazia ed a seguito di un’indagine approfondita ha concluso che la misura correttiva proposta non era sufficiente per ovviare alla concorrenza che sarebbe stata eliminata a causa dell’operazione.
Nel settore dell’energia, la Commissione ha affermato di continuare ad adoperarsi per la realizzazione di un’Unione dell’energia europea e che nel 2017 ha continuato a esaminare le pratiche commerciali di Gazprom in Europa centrale e orientale. Secondo la valutazione preliminare della Commissione, Gazprom aveva violato le norme antitrust dell’UE attuando una strategia globale di segmentazione dei mercati del gas dell’Europa centrale e orientale. Gazprom ha offerto una serie di impegni che sono stati accettati in quanto ritenuti rispondenti alle preoccupazioni della Commissione in materia di concorrenza. Nel quadro della disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia, la Commissione ha poi ricordato che, dal 2017, è stata introdotta l’organizzazione di aste di natura concorrenziale per favorire l’impiego di energia rinnovabile. Tali aste dovranno basarsi su criteri chiari, trasparenti e non discriminatori.
Passando al settore dei trasporti, la Commissione ha richiamato (i) l’acquisizione di alcune attività di Air Berlin da parte di Lufthansa e di easyJet; (ii) l’imposizione di un’ammenda totale di 68 milioni di euro a quattro imprese europee di riciclaggio di batterie al piombo-acido esauste per aver partecipato, tra il 2009 e il 2012, a un cartello inteso a fissare i prezzi di acquisto di tali prodotti in Belgio, in Francia, in Germania e nei Paesi Bassi; (iii) la decisione con cui ha imposto un’ammenda di 880 milioni di euro a Scania per aver partecipato a un cartello riguardante il mercato della produzione di autocarri medi e pesanti (si veda anche la decisione relativa a diversi “settlement” già adottata nel 2016 relativa al cartello dei produttori di autocarri) e (iv) le indagini in corso riguardanti il settore dei ricambi per autoveicoli, nonché le sanzioni imposte ad imprese partecipanti a tre cartelli che avrebbero causano l’aumento del costo dei fattori produttivi per i produttori automobilistici.
Inoltre, in tema di agevolazioni fiscali, la Relazione ricorda la decisione dell’ottobre 2017 con cui la Commissione ha concluso che il Lussemburgo aveva concesso agevolazioni fiscali ad Amazon e quella del successivo dicembre con cui la Commissione ha avviato un’indagine approfondita sul trattamento fiscale applicato nei Paesi Bassi a Inter IKEA, uno dei due gruppi che gestiscono le attività di IKEA, che riguarda due ruling fiscali concessi dalle autorità fiscali olandesi nel 2006 e nel 2011 che hanno ridotto significativamente gli utili imponibili di Inter IKEA Systems nei Paesi Bassi. In questa fase, la Commissione ritiene che il trattamento approvato dai due ruling fiscali possa aver dato luogo a un vantaggio selettivo a favore di Inter IKEA Systems di cui non possono beneficiare altre imprese soggette alle stesse norme fiscali nazionali dei Paesi Bassi.
Passando ai mercati finanziari, in primis si ricorda la decisione del marzo 2017 con cui la Commissione ha bloccato la proposta concentrazione tra Deutsche Börse e London Stock Exchange Group, che avrebbe unito le attività dei più importanti operatori di borsa europei. In seguito all’indagine, la Commissione ha concluso che tale operazione avrebbe creato un monopolio di fatto sui mercati della compensazione (clearing) degli strumenti a reddito fisso. Inoltre, la Relazione ricorda anche la decisione con cui la Commissione ha approvato il piano dell’Italia a sostegno della ricapitalizzazione precauzionale della banca italiana Monte dei Paschi di Siena, sulla base di un piano di ristrutturazione dettagliato.
In conclusione, il 2017 si è mostrato un anno ricco di attività di alto profilo da cui è possibile trarre alcune tendenze e linee di policy come messaggio per le imprese: la Commissione continuerà a (i) concentrare la propria attenzione sui mercati digitali, esaminando anche l’importanza di dati, di algoritmi e di altre caratteristiche dell’economia digitale nel quadro dell’applicazione delle norme in materia di concorrenza; (ii) ritenere l’attività di enforcement contro cartelli ed abusi di posizione dominante una delle proprie priorità; (iii) posto che nel 2017 è continuato il trend di sostanziale aumento delle operazioni di concentrazioni notificate, si evidenzia l’intenzione di allocare significative risorse nell’ambito del controllo di tali operazioni ed anche a verificare con attenzione possibili violazioni procedurali (vedasi le comunicazioni inviate ad Altice e Canon per c.d. “gun jumping” e alla Merck GmbH e alla General Electric in merito alla loro presunta trasmissione di informazioni errate o fuorvianti durante i procedimenti, oltre alla sopra menzionata sanzione imposta a Facebook); (iv) rivestire un ruolo fondamentale nel controllo degli aiuti di Stato, specie nel settore finanziario.
Cecilia Carli
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Diritto della concorrenza Italia / Commissioni interbancarie e impegni – Sottoposti a market test gli impegni presentati da Bancomat S.p.A. in materia di commissioni interbancarie
Il 28 giugno scorso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha pubblicato gli impegni presentati da Bancomat S.P.A. (Bancomat) - società attiva nella gestione dei circuiti di pagamento BANCOMAT e PagoBANCOMAT e le relative carte di pagamento, utilizzabili per effettuare pagamenti su POS e/o prelievi presso gli sportelli automatici c.d ATM - nel contesto del procedimento di revisione n. I733D – Commissioni Bill Payments (il Procedimento). L’AGCM aveva aperto, nel marzo scorso, il Procedimento a seguito dell’istanza della stessa Bancomat volta ad ottenere una revisione degli impegni resi obbligatori dall’AGCM nel 2014 nel contesto del procedimento I773 (Impegni I773).
Ripercorrendo brevemente le tappe della vicenda, l’AGCM, nel febbraio del 2014 aveva aperto un procedimento istruttorio nei confronti di Bancomat (all’epoca Consorzio Bancomat) in relazione alla definizione delle commissioni interbancarie multilaterali (MIF) per il pagamento, attraverso carta di debito PagoBANCOMAT, dei c.d. Bill Payments (ossia dei bollettini e fatture commerciali emesse da terzi). Nell’ambito di tale procedimento erano stati accolti gli Impegni I773 i quali prevedevano, tra le altre cose, un abbassamento a tempo indeterminato delle MIF, che erano state ridotte da 0,10 euro a 0,07 euro.
Nel frattempo, nel dicembre 2015, era intervenuto il Regolamento UE relativo alle commissioni interbancarie (il Regolamento), che imponeva a tutti i prestatori di servizi di pagamento di non offrire né richiedere “…per qualsiasi operazione tramite carta di debito una commissione interbancaria per ogni operazione superiore allo 0.2% del valore della transazione…”. Bancomat, attenendosi al dettato normativo, aveva quindi applicato a decorrere da tale momento una commissione interbancaria massima costituita: (i) da una componente variabile pari allo 0.20% del valore della transazione (per tutti i pagamenti inferiori ai 35 euro); (ii) da una componente fissa pari a 0.07 euro per quelli superiori ai 35 euro.
Secondo Bancomat, l’evoluzione del quadro normativo e regolamentare a livello europeo e nazionale, così come del mutamento delle condizioni di mercato nel settore dei servizi di pagamento, avrebbero fatto venire meno l’esigenza di prevedere impegni in relazione alla definizione della MIF applicabile ai Bill Payments. Infatti, Bancomat ritiene che il Regolamento, definendo a livello regolatorio i livelli massimi delle commissioni interbancarie multilaterali applicabili alle operazioni di pagamento con carte, avrebbe cambiato il paradigma con il quale deve essere valutata la compatibilità dell’ammontare delle MIF rispetto alla normativa antitrust (e non sarebbero più necessari interventi ad hoc delle autorità garanti della concorrenza nei confronti dei circuiti di pagamento). Ciò sarebbe confermato dal fatto che il d.lgs. 218/2017, adeguando le disposizioni interne al Regolamento, avrebbe designato la Banca d’Italia quale autorità competente in materia di applicazione e rispetto delle disposizioni della legge in materia di commissioni interbancarie, rendendo cosi la materia relativa alle commissioni interbancarie, quantum incluso, “…di stretta pertinenza della regolazione…”.
Tanto premesso, Bancomat, ha presentato, in sostituzione degli Impegni I773, le seguenti proposte di impegni:
- la riduzione della commissione interbancaria applicabile ai Bill Payments: MIF dello 0,10% dell’ammontare della singola transazione, per pagamenti inferiori ai 5 euro; MIF del 0,20% tra i 5 e i 24,49 euro; MIF di valore fisso pari a 0,05 euro per quelli superiori ai 24,50 euro;
Ripercorrendo brevemente le tappe della vicenda, l’AGCM, nel febbraio del 2014 aveva aperto un procedimento istruttorio nei confronti di Bancomat (all’epoca Consorzio Bancomat) in relazione alla definizione delle commissioni interbancarie multilaterali (MIF) per il pagamento, attraverso carta di debito PagoBANCOMAT, dei c.d. Bill Payments (ossia dei bollettini e fatture commerciali emesse da terzi). Nell’ambito di tale procedimento erano stati accolti gli Impegni I773 i quali prevedevano, tra le altre cose, un abbassamento a tempo indeterminato delle MIF, che erano state ridotte da 0,10 euro a 0,07 euro.
Nel frattempo, nel dicembre 2015, era intervenuto il Regolamento UE relativo alle commissioni interbancarie (il Regolamento), che imponeva a tutti i prestatori di servizi di pagamento di non offrire né richiedere “…per qualsiasi operazione tramite carta di debito una commissione interbancaria per ogni operazione superiore allo 0.2% del valore della transazione…”. Bancomat, attenendosi al dettato normativo, aveva quindi applicato a decorrere da tale momento una commissione interbancaria massima costituita: (i) da una componente variabile pari allo 0.20% del valore della transazione (per tutti i pagamenti inferiori ai 35 euro); (ii) da una componente fissa pari a 0.07 euro per quelli superiori ai 35 euro.
Secondo Bancomat, l’evoluzione del quadro normativo e regolamentare a livello europeo e nazionale, così come del mutamento delle condizioni di mercato nel settore dei servizi di pagamento, avrebbero fatto venire meno l’esigenza di prevedere impegni in relazione alla definizione della MIF applicabile ai Bill Payments. Infatti, Bancomat ritiene che il Regolamento, definendo a livello regolatorio i livelli massimi delle commissioni interbancarie multilaterali applicabili alle operazioni di pagamento con carte, avrebbe cambiato il paradigma con il quale deve essere valutata la compatibilità dell’ammontare delle MIF rispetto alla normativa antitrust (e non sarebbero più necessari interventi ad hoc delle autorità garanti della concorrenza nei confronti dei circuiti di pagamento). Ciò sarebbe confermato dal fatto che il d.lgs. 218/2017, adeguando le disposizioni interne al Regolamento, avrebbe designato la Banca d’Italia quale autorità competente in materia di applicazione e rispetto delle disposizioni della legge in materia di commissioni interbancarie, rendendo cosi la materia relativa alle commissioni interbancarie, quantum incluso, “…di stretta pertinenza della regolazione…”.
Tanto premesso, Bancomat, ha presentato, in sostituzione degli Impegni I773, le seguenti proposte di impegni:
- la riduzione della commissione interbancaria applicabile ai Bill Payments: MIF dello 0,10% dell’ammontare della singola transazione, per pagamenti inferiori ai 5 euro; MIF del 0,20% tra i 5 e i 24,49 euro; MIF di valore fisso pari a 0,05 euro per quelli superiori ai 24,50 euro;
- l’avvio di un confronto con l’AGCM nel caso Bancomat intendesse in futuro modificare al rialzo la commissione interbancaria per i Bill Payments per un valore superiore a quello di 0,05 euro per transazione.
Secondo Bancomat, tale proposta di impegni, da intendersi a tempo indeterminato, porterà all’applicazione di MIF significativamente più basse rispetto a quelle risultanti dagli Impegni I773. Bancomat ha altresì aggiunto che, alla luce delle caratteristiche economiche dei Bill Payments – in cui chi effettua l’incasso (ossia l’esercente) non beneficia della somma oggetto di pagamento, bensì della commissione per il servizio di incasso erogato dall’esercente stesso – “…l’applicazione di una MIF di importo fisso e contenuto esclude il possibile insorgere di un meccanismo di erosione del guadagno dell’esercente stesso dell’importo della merchant fee, in misura crescente all’aumentare dell’importo della transazione, e di conseguenza il possibile determinarsi di disincentivi ad accettare l’incasso di Bill Payments tramite carta…”.
Pertanto, sempre secondo Bancomat, gli Impegni in parola sarebbero idonei a determinare un effetto pro-concorrenziale su tutto il sistema relativo a tale tipologia di pagamenti, incentivandone l’accettazione da parte degli esercenti.
Non resta quindi che attendere le osservazioni degli operatori di mercato, che dovranno pervenire all’AGCM non oltre il 28 luglio prossimo.
Jacopo Pelucchi
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Secondo Bancomat, tale proposta di impegni, da intendersi a tempo indeterminato, porterà all’applicazione di MIF significativamente più basse rispetto a quelle risultanti dagli Impegni I773. Bancomat ha altresì aggiunto che, alla luce delle caratteristiche economiche dei Bill Payments – in cui chi effettua l’incasso (ossia l’esercente) non beneficia della somma oggetto di pagamento, bensì della commissione per il servizio di incasso erogato dall’esercente stesso – “…l’applicazione di una MIF di importo fisso e contenuto esclude il possibile insorgere di un meccanismo di erosione del guadagno dell’esercente stesso dell’importo della merchant fee, in misura crescente all’aumentare dell’importo della transazione, e di conseguenza il possibile determinarsi di disincentivi ad accettare l’incasso di Bill Payments tramite carta…”.
Pertanto, sempre secondo Bancomat, gli Impegni in parola sarebbero idonei a determinare un effetto pro-concorrenziale su tutto il sistema relativo a tale tipologia di pagamenti, incentivandone l’accettazione da parte degli esercenti.
Non resta quindi che attendere le osservazioni degli operatori di mercato, che dovranno pervenire all’AGCM non oltre il 28 luglio prossimo.
Jacopo Pelucchi
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Legal News / Antitrust US e settore dei sistemi di pagamento - La Corte Suprema degli Stati Uniti si è espressa con sentenza sul caso Ohio v. American Express sui sistemi di pagamento mediante piattaforme a due versanti
La Corte Suprema degli Stati Uniti (Corte Suprema), con una decisione presa con il voto favorevole di 5 giudici su 9, ha confermato il giudizio d’appello del caso Ohio v. American Express, stabilendo che le clausole contrattuali c.d. “anti-steering” che American Express (Amex) imponeva ai commercianti, al fine di impedire a questi ultimi di incentivare o suggerire ai clienti di utilizzare altre carte di credito al momento del pagamento, non violano il diritto antitrust.
Amex, contrariamente a Visa e Mastercard, ha adottato un modello economico per cui applica ai commercianti delle commissioni più alte della concorrenza, per concedere invece ai consumatori proprietari di una carta Amex dei premi e dei servizi più convenienti. Per tale motivo, Amex ha imposto delle clausole contrattuali ai commercianti del suo circuito per evitare che questi persuadano i clienti ad effettuare gli acquisti utilizzando altre carte di credito, per le quali i commercianti pagherebbero commissioni più basse.
In apertura della sua analisi, la Corte Suprema sottolinea come i circuiti di credito siano una c.d. “two-sided platform”, ossia una piattaforma che intermedia due diversi mercati, offrendo, in questo caso, dei servizi – diversi ma correlati – ai commercianti e ai consumatori, mettendoli in contatto e offrendo loro la possibilità di eseguire transazioni. Tali tipologie di piattaforme sono caratterizzate da forti esternalità incrociate di rete, per cui il valore della piattaforma per una categoria di utilizzatori dipende dal numero di utilizzatori dell’altra categoria presenti. Ciò influenza notevolmente le strategie di prezzo che le piattaforme applicano ai due diversi versanti del mercato. Secondo la Corte Suprema, un’altra particolarità delle piattaforme per transazioni, che le differenzia da altri mercati multilaterali come, ad esempio, quello dell’editoria, è che il prodotto rilevante – la singola transazione – può essere offerto solo se entrambi i partecipanti (consumatori e commercianti) scelgono di utilizzare la piattaforma nello stesso momento. In altre parole, è impossibile scindere il servizio offerto al commerciante da quello offerto al consumatore, con la conseguenza che un operatore come Amex non potrebbe svolgere servizi solo per una delle due categorie di utilizzatori.
Al fine dunque di determinare la propria strategia economica, un operatore di carte di credito deve tener conto delle condizioni in entrambi i mercati che mette in connessione. Allo stesso modo, secondo la Corte, considerare entrambi i mercati è necessario anche per valutare le dinamiche concorrenziali del settore. Di conseguenza, nel definire il mercato rilevante in cui Amex e i concorrenti agiscono, la Corte Suprema ha stabilito, allontanandosi dalla prassi sino ad oggi osservata, che non basta valutare la concorrenza solo su uno dei due mercati interessati ma che entrambi confluiscono in un unico mercato rilevante, che ricomprende dunque i servizi offerti lato-consumatori e quelli offerti lato-commercianti. Nella valutazione degli effetti anti-competitivi di una pratica commerciale dunque, è errato focalizzare l’analisi su uno solo dei mercati ma bisogna considerare gli effetti provocati anche sull’altro. Nel caso di specie, la parte attrice si è soffermata sul dimostrare il pregiudizio alla concorrenza che le clausole restrittive di Amex hanno comportato nei confronti unicamente dei commercianti, quando invece era necessario, secondo la Corte Suprema, dimostrare la sussistenza di un pregiudizio anche dal lato dei consumatori, per via, ad esempio, dell’aumento in generale dei prezzi delle transazioni a livello sovra-competitivo, oppure per la riduzione del numero totale di transazioni. In altre parole, gli effetti sulla concorrenza delle anti-steering provisions di Amex non possono essere valutati soltanto sul mercato che riguarda i rapporti tra Amex e i commercianti.
Con riferimento agli effetti delle clausole contrattuali, la Corte Suprema ha escluso che possano violare il diritto antitrust. In primis, l’accusa non ha dimostrato che tali clausole hanno provocato un pregiudizio per i consumatori. Sul lato commercianti poi, non vi sarebbe stato alcun aumento dei prezzi a un livello sovra-concorrenziale. Le commissioni più alte applicate da Amex infatti, non sarebbero il risultato di pratiche anti-concorrenziali ma una misura del maggior valore dei propri servizi ai consumatori rispetto a quelli offerti dalla concorrenza. Inoltre, le clausole in oggetto comportano dei benefici a livello di concorrenza inter-brand, laddove tutelano l’aspettativa dei clienti nei confronti della c.d. “welcome acceptance”, ossia il fatto che i commercianti permettano senza frizioni di utilizzare liberamente qualsiasi mezzo di pagamento che dichiarino di accettare. Da ultimo, le clausole in oggetto comportano numerosi benefici dal lato dei consumatori (che vanno considerati essendo parte dello stesso mercato rilevante), poiché, ad esempio, la maggior pressione concorrenziale che generano soprattutto su Visa e Mastercard ha fatto sì che queste ultime iniziassero ad offrire servizi premium più vantaggiosi per i clienti, al fine di invogliarli maggiormente ad usare le carte di credito dei propri circuiti. Mastercard e Visa, inoltre, grazie alla presenza di tali clausole sarebbero riuscite ad allargare il proprio network, intercettando i commercianti (sebbene molto ridotti nel numero) fuoriusciti dal circuito Amex per via delle commissioni elevate.
Il caso in oggetto scardina il principio del diritto antitrust secondo cui, nel caso di two-sided platforms, il mercato rilevante è identificato solo con uno dei due versanti e ha ad oggetto prodotti sostituibili. Secondo il caso in esame invece, le piattaforme che operano transazioni caratterizzate da un’alta esternalità di rete da ambo i lati (esternalità incrociate) comportano un unico mercato rilevante, che comprende i servizi offerti su entrambi i mercati, anche se i due prodotti non sono sostituibili, bensì complementari. In tal caso, per soddisfare l’onere della prova, sarà necessario dimostrare effetti anticoncorrenziali su entrambi i mercati interessati.
Ciò apre, senza dubbio, una serie di questioni circa la futura applicazione (negli Stati Uniti) delle norme antitrust a numerose piattaforme online che funzionano con un paradigma simile a quello delle carte di credito (per esempio Amazon), nei confronti delle quali l’onere della prova nei procedimenti antitrust rischia di risultare sempre più difficile.
Leonardo Stiz
Amex, contrariamente a Visa e Mastercard, ha adottato un modello economico per cui applica ai commercianti delle commissioni più alte della concorrenza, per concedere invece ai consumatori proprietari di una carta Amex dei premi e dei servizi più convenienti. Per tale motivo, Amex ha imposto delle clausole contrattuali ai commercianti del suo circuito per evitare che questi persuadano i clienti ad effettuare gli acquisti utilizzando altre carte di credito, per le quali i commercianti pagherebbero commissioni più basse.
In apertura della sua analisi, la Corte Suprema sottolinea come i circuiti di credito siano una c.d. “two-sided platform”, ossia una piattaforma che intermedia due diversi mercati, offrendo, in questo caso, dei servizi – diversi ma correlati – ai commercianti e ai consumatori, mettendoli in contatto e offrendo loro la possibilità di eseguire transazioni. Tali tipologie di piattaforme sono caratterizzate da forti esternalità incrociate di rete, per cui il valore della piattaforma per una categoria di utilizzatori dipende dal numero di utilizzatori dell’altra categoria presenti. Ciò influenza notevolmente le strategie di prezzo che le piattaforme applicano ai due diversi versanti del mercato. Secondo la Corte Suprema, un’altra particolarità delle piattaforme per transazioni, che le differenzia da altri mercati multilaterali come, ad esempio, quello dell’editoria, è che il prodotto rilevante – la singola transazione – può essere offerto solo se entrambi i partecipanti (consumatori e commercianti) scelgono di utilizzare la piattaforma nello stesso momento. In altre parole, è impossibile scindere il servizio offerto al commerciante da quello offerto al consumatore, con la conseguenza che un operatore come Amex non potrebbe svolgere servizi solo per una delle due categorie di utilizzatori.
Al fine dunque di determinare la propria strategia economica, un operatore di carte di credito deve tener conto delle condizioni in entrambi i mercati che mette in connessione. Allo stesso modo, secondo la Corte, considerare entrambi i mercati è necessario anche per valutare le dinamiche concorrenziali del settore. Di conseguenza, nel definire il mercato rilevante in cui Amex e i concorrenti agiscono, la Corte Suprema ha stabilito, allontanandosi dalla prassi sino ad oggi osservata, che non basta valutare la concorrenza solo su uno dei due mercati interessati ma che entrambi confluiscono in un unico mercato rilevante, che ricomprende dunque i servizi offerti lato-consumatori e quelli offerti lato-commercianti. Nella valutazione degli effetti anti-competitivi di una pratica commerciale dunque, è errato focalizzare l’analisi su uno solo dei mercati ma bisogna considerare gli effetti provocati anche sull’altro. Nel caso di specie, la parte attrice si è soffermata sul dimostrare il pregiudizio alla concorrenza che le clausole restrittive di Amex hanno comportato nei confronti unicamente dei commercianti, quando invece era necessario, secondo la Corte Suprema, dimostrare la sussistenza di un pregiudizio anche dal lato dei consumatori, per via, ad esempio, dell’aumento in generale dei prezzi delle transazioni a livello sovra-competitivo, oppure per la riduzione del numero totale di transazioni. In altre parole, gli effetti sulla concorrenza delle anti-steering provisions di Amex non possono essere valutati soltanto sul mercato che riguarda i rapporti tra Amex e i commercianti.
Con riferimento agli effetti delle clausole contrattuali, la Corte Suprema ha escluso che possano violare il diritto antitrust. In primis, l’accusa non ha dimostrato che tali clausole hanno provocato un pregiudizio per i consumatori. Sul lato commercianti poi, non vi sarebbe stato alcun aumento dei prezzi a un livello sovra-concorrenziale. Le commissioni più alte applicate da Amex infatti, non sarebbero il risultato di pratiche anti-concorrenziali ma una misura del maggior valore dei propri servizi ai consumatori rispetto a quelli offerti dalla concorrenza. Inoltre, le clausole in oggetto comportano dei benefici a livello di concorrenza inter-brand, laddove tutelano l’aspettativa dei clienti nei confronti della c.d. “welcome acceptance”, ossia il fatto che i commercianti permettano senza frizioni di utilizzare liberamente qualsiasi mezzo di pagamento che dichiarino di accettare. Da ultimo, le clausole in oggetto comportano numerosi benefici dal lato dei consumatori (che vanno considerati essendo parte dello stesso mercato rilevante), poiché, ad esempio, la maggior pressione concorrenziale che generano soprattutto su Visa e Mastercard ha fatto sì che queste ultime iniziassero ad offrire servizi premium più vantaggiosi per i clienti, al fine di invogliarli maggiormente ad usare le carte di credito dei propri circuiti. Mastercard e Visa, inoltre, grazie alla presenza di tali clausole sarebbero riuscite ad allargare il proprio network, intercettando i commercianti (sebbene molto ridotti nel numero) fuoriusciti dal circuito Amex per via delle commissioni elevate.
Il caso in oggetto scardina il principio del diritto antitrust secondo cui, nel caso di two-sided platforms, il mercato rilevante è identificato solo con uno dei due versanti e ha ad oggetto prodotti sostituibili. Secondo il caso in esame invece, le piattaforme che operano transazioni caratterizzate da un’alta esternalità di rete da ambo i lati (esternalità incrociate) comportano un unico mercato rilevante, che comprende i servizi offerti su entrambi i mercati, anche se i due prodotti non sono sostituibili, bensì complementari. In tal caso, per soddisfare l’onere della prova, sarà necessario dimostrare effetti anticoncorrenziali su entrambi i mercati interessati.
Ciò apre, senza dubbio, una serie di questioni circa la futura applicazione (negli Stati Uniti) delle norme antitrust a numerose piattaforme online che funzionano con un paradigma simile a quello delle carte di credito (per esempio Amazon), nei confronti delle quali l’onere della prova nei procedimenti antitrust rischia di risultare sempre più difficile.
Leonardo Stiz