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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Abuso di posizione dominante e settore dei servizi di trasmissione televisiva – La Corte di Giustizia riconosce la discrezionalità degli Stati membri sulla portata retroattiva delle disposizioni procedurali contenute nella direttiva sul private enforcement e la contrarietà al diritto comunitario di un termine di prescrizione eccessivamente ridotto

Con la sentenza pubblicata lo scorso 28 marzo, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) – in risposta alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale circondariale di Lisbona (il Tribunale portoghese) – ha stabilito che le disposizioni contenute nella direttiva n. 104 del 26 novembre 2014 (Direttiva Danni), concernente le azioni per risarcimento del danno causato da violazioni del diritto antitrust, permettono agli Stati membri di decidere circa la portata retroattiva delle norme procedurali contenute nella stessa. Con la suddetta sentenza, la CdG ha inoltre affermato che la corretta interpretazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) (divieto di abuso di posizione dominante), del principio di effettività, nonché del principio di equivalenza non può che ostare alla presenza di una normativa nazionale limiti eccessivamente il diritto della parte lesa al risarcimento.

Le richieste di chiarimento contenute nel suddetto rinvio pregiudiziale possono essere ricomprese in due macro categorie.

In primis, il Tribunale portoghese ha richiesto alla CdG di pronunciarsi circa l’applicazione della Direttiva Danni– in particolare degli articoli ivi concernenti l’efficacia retroattiva delle disposizioni sostanziali e procedurali – alla controversia principale dinanzi al giudice civile nazionale. Quest’ultima, avviata nel febbraio del 2015, vede contrapposta Cogeco Communications Inc. (Cogeco) a Sport TV Portugal SA (Sport TV), e relative controllanti, e concerne il risarcimento dei danni derivanti dalle pratiche anticoncorrenziali attuate da quest’ultima ai danni di Cogeco. Per rispondere su tale punto, la CdG richiama espressamente il disposto dell’articolo 22 della Direttiva Danni. Con riferimento alle disposizioni di natura sostanziale presenti nella stessa, infatti, l’articolo in esame stabilisce chiaramente che le norme nazionali adottate al fine di recepire le suddette disposizioni non trovano applicazione retroattiva, mentre per le disposizioni procedurali si riconosce un certo grado di discrezionalità in capo agli Stati membri, i quali possono decidere, al momento del recepimento della Direttiva stessa, se tali disposizioni si applichino (o no) alle azioni per risarcimento danno intentate successivamente al 26 dicembre 2014 (ossia la data di entrata in vigore della suddetta Direttiva) ma prima della data di recepimento della stessa. A tal proposito, la legge di recepimento della Direttiva Danni, adottata dal legislatore portoghese in data 5 giugno 2018 (Legge 23/2018), stabilisce espressamente che le disposizioni procedurali non trovano applicazione in relazione alle azioni di risarcimento promosse prima dell’entrata in vigore della suddetta Legge 23/2018 (ossia, come detto, il 5 giugno 2018). Sulla base di ciò, quindi, la CdG ha riconosciuto l’inapplicabilità della Direttiva Danni alla controversia in oggetto.

In relazione al secondo punto sollevato, la CdG è stata chiamata a pronunciarsi circa la contrarietà del disposto dell’articolo 498 del codice civile portoghese (Codigo Civil) rispetto all’articolo 102 TFUE, nonché rispetto ai principi di effettività ed equivalenza dell’ordinamento europeo. La norma in esame, infatti, prevede un termine di prescrizione applicabile alle azioni di risarcimento danni limitato a soli 3 anni, e che – è necessario sottolineare – inizia a decorrere dalla data in cui il soggetto leso è venuto a conoscenza del proprio diritto al risarcimento, anche se (paradossalmente!) non risulta nota l’identità dell’autore della violazione stessa, e non può essere sospeso o interrotto in occasione di un procedimento dinnanzi ad un’autorità della concorrenza A tal riguardo, la CdG ha stabilito che un siffatto termine prescrittivo renderebbe “…l’esercizio del diritto a chiedere un risarcimento praticamente impossibile o eccessivamente difficile…”. La CdG, infatti, ha ricordato come la normativa nazionale applicabile al risarcimento danni dev’essere adattata (sulla base ai principi di effettività e proporzionalità) alle specificità proprie del diritto antitrust, al fine di non vanificare l’applicazione dell’articolo 102 TFUE, e ciò anche in sede di private enforcement. Alla luce di ciò, come ricordato in precedenza, la CdG ha affermato che la summenzionata norma civilistica portoghese risulta essere profondamente limitativa dell’efficacia dell’articolo 102 TFUE nonché incompatibile con i principi sopra citati.

Mentre sulla prima questione parevano sussistere meno dubbi, data la facoltà espressamente accordata dal legislatore comunitario a quello nazionale circa la portata retroattiva delle norme procedurali della Direttiva, la pronuncia in esame risulta essere di rilievo ove ribadisce che la normativa nazionale applicabile alle controversie civili non può contenere disposizioni tali da limitare in maniera significativa ed ingiustificata l’esercizio del diritto al risarcimento del danno procurato da illeciti anticoncorrenziali. Alla luce di ciò, ci si può domandare se la sentenza analizzata causerà effetti in Portogallo finanche sul piano legislativo, spingendo il Parlamento di Lisbona ad emendare il suddetto articolo 498 del Codigo Civil (almeno per quanto attiene al contenzioso civilistico antitrust).

Luca Feltrin
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Restrizioni verticali e settore dei prodotti di merchandising – La Commissione abbatte le “barriere” erette da Nike alle vendite transfrontaliere in Europa dei prodotti merchandising di alcune delle più famose squadre e federazioni nazionali di calcio

La Commissione europea (la Commissione) ha annunciato di avere adottato il 25 marzo 2019 la decisione con la quale ha sanzionato Nike per € 12,5 milioni per una violazione dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), consistente nell’aver limitato illegalmente la vendita transfrontaliera e online all’interno dello Spazio Economico Europeo (SEE) da parte dei venditori di prodotti di merchandising protetti da diritti di proprietà intellettuale dei quali Nike deteneva la licenza.

Nike, infatti, stipulava degli accordi non esclusivi di licenza con produttori e distributori (i Licenziatari) in virtù dei quali questi ultimi erano autorizzati a produrre e distribuire prodotti di merchandising di alcune tra le più famose squadre e federazioni nazionali di calcio che riportavano marchi o loghi di cui Nike deteneva i diritti di proprietà intellettuale (i Prodotti). Nell’ambito di tali accordi, Nike aveva adottato una serie di misure volte, direttamente e indirettamente, ad impedire che i Licenziatari vendessero detti prodotti al di fuori del territorio loro assegnato (il Territorio). In particolare, la Commissione ha accertato che tali misure consistevano in:

−     clausole che vietavano esplicitamente ai Licenziatari la vendita dei Prodotti al di fuori del Territorio;

−     obblighi di re-indirizzamento alla stessa Nike degli ordini ricevuti da soggetti collocati al di fuori del Territorio;

−     clausole che prevedevano il doppio versamento dei diritti di licenza per vendite effettuate dai Licenziatari al di fuori del Territorio (equivalenti ad una penale – sembra potersi osservare – per la violazione dei predetti obblighi);

−     minacce di revocare le licenze in caso i Licenziatari vendessero al di fuori del Territorio;

−     rifiuto di fornire gli ologrammi che attestano l’ufficialità del prodotto ove vi fosse il sospetto che i Prodotti sarebbero stati venduti al di fuori del SEE;

−     ispezioni volte a verificare il rispetto delle restrizioni imposte;

−     incarico ai Licenziatari principali di concedere a terzi sub-licenze riferite a singoli Territori, applicando ai sub-licenziatari le restrizioni legate alla vendita all’interno dei Territori assegnati;

−     clausole che vietavano ai Licenziatari di vendere ai clienti rispetto ai quali sussistesse la possibilità che avrebbero a loro volta rivenduto i Prodotti al di fuori del Territorio;

−     obbligo per i Licenziatari di trasferire tutte le restrizioni anche ai loro clienti.

Secondo quanto riportato nel comunicato ufficiale della Commissione, le condotte descritte hanno avuto una durata di 13 anni, dal 2004 al 2017, e hanno avuto l’effetto, ad avviso della Commissione, di creare delle barriere all’interno del mercato unico, limitando la scelta per i consumatori e causando un aumento dei prezzi. Ciononostante, la significativa collaborazione prestata alla Commissione da Nike, che ha ammesso le condotte contestate e fornito prove idonee ad ampliare il perimetro dell’indagine, ha fatto sì che le fosse accordata una riduzione della sanzione pari a ben il 40%, conducendo all’imposizione di una ammenda pari a € 12,5 milioni, rendendo nei fatti la cooperazione prestata in relazione ad infrazioni di natura sostanzialmente verticale non troppo distante dai meccanismi premiali tipici dei programmi di clemenza che, in larga parte dell’Europa continentale, sono tuttavia riservati a possibili infrazioni orizzontali (essenzialmente, cartelli).

Resta ora da vedere se le indagini della Commissione nei confronti di Sanrio e Universal Studios, avviate nel giugno 2017 insieme a quella nei confronti di Nike per condotte prima facie analoghe, condurranno anch’esse ad un simile esito.

Roberta Laghi
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Concentrazioni UE e fatturato rilevante – La Commissione fornisce alcuni chiarimenti in relazione alla Brexit

Con l’avviso agli stakeholders del 25 marzo 2019 la Commissione europea (Commissione) ha chiarito alcuni dubbi circa le modalità di calcolo delle soglie rilevanti. In particolare, ci si chiedeva se, nell’ambito della valutazione della notificabilità di una operazione di concentrazione ai sensi del regolamento comunitario sulle concentrazioni, nel calcolo del fatturato di un’impresa, dovessero essere inclusi anche i ricavi realizzati nel Regno Unito anche se quest’ultimo non fosse più qualificabile come uno Stato Membro. La risposta della Commissione sul punto è positiva, a condizione che la conclusione di un accordo giuridicamente vincolante ovvero la comunicazione di un’offerta pubblica (o dell’acquisizione di una partecipazione di controllo) avvenga prima del ritiro del Regno Unito dall’Unione europea. In seguito, la Commissione invece non prenderà più in considerazione il fatturato realizzato nel Regno Unito ai fini della determinazione delle soglie previste dalla disciplina sul controllo delle concentrazioni.

Attualmente, stando alla proroga accordata dal Consiglio Europeo, la data ultima prevista per l’uscita del Regno Unito dall’UE è – come noto, e salvo novità in una vicenda sempre più intricata – il 12 aprile 2019.

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Diritto della concorrenza Italia / Abuso di posizione dominante e servizi di post-trading – L’AGCM chiude con impegni, e senza accertare infrazioni, una indagine nei confronti di Monte Titoli

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM o l’Autorità) ha chiuso un procedimento (n. A505) per presunta violazione dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) nei confronti di Monte Titoli, deliberando di rendere obbligatori gli impegni presentati da quest’ultima con riferimento ad alcuni specifici profili delle proprie attività e tariffe di settlement.

Come noto, Monte Titoli è il Depositario Centrale di Titoli (CSD Central Security Depository) italiano, nella cui qualità eroga i servizi di settlement “primario”, ossia la “consegna” degli strumenti finanziari oggetto di operazioni finanziarie (tramite scritture digitali) all’acquirente a fronte del pagamento concordato. Tali servizi sono resi da Monte Titoli, dal 2016, attraverso la piattaforma pan-europea Target2 Securities (T2S), realizzata con il supporto della Banca Centrale Europea (BCE) al fine di fornire ai CSD dei vari Paesi aderenti una sistema tecnologico comune. Monte Titoli offre questi servizi sia, da un lato, alle cd. DCPDirectly Connected Parties, tipicamente gruppi bancari/finanziari (come i segnalanti) di grandi dimensioni, che sono in grado di connettersi direttamente alla suddetta piattaforma T2S (pur dovendo comunque acquistare il servizio di settlement primario da Monte Titoli); sia, dall’altro lato, le cd. ICPIndirectly Connected Parties, tipicamente banche più piccole, ovvero che hanno deciso di non collegarsi a T2S sostenendo i relativi investimenti, e che possono acquistare i servizi di settlement (secondario), oltre che quelli di custodia (secondaria) degli strumenti finanziari, sia dalle DCP, sia direttamente da Monte Titoli.

In questo contesto, l’indagine era stata avviata a maggio 2018 dall’Autorità a seguito di una denuncia comune da parte di Intesa SanPaolo, Iccrea Banca, Société Generale Securities Services, BNP Paribas e Nexi. Le due c.d. theories of harm ipotizzate nel provvedimento di avvio riguardavano un possibile abuso di posizione dominante posto in essere da Monte Titoli mediante le proprie tariffe di settlement adottate dal 2016, e rispettivamente:

(a)     una presunta pratica di c.d. margin squeeze (compressione dei margini) a svantaggio delle DCP, ed in particolare della loro abilità di competere efficacemente nei confronti di Monte Titoli rispetto alla domanda di servizi di post-trading delle ICP. Tale condotta sarebbe stata posta in essere attraverso commissioni in thesi non sufficientemente differenziate per riflettere la diversità dei servizi offerti alle due categorie di clienti (ICP v. DCP), ovvero comunque tali da imporre un prezzo troppo alto per le DCP in vista della offerta a valle del servizio alle ICP. Tale strategia sarebbe stata rafforzata anche da alcuni sconti offerti da Monte Titoli ai nuovi clienti;

(b)     una presunta discriminazione tra DCP e CSD di altri Stati membri, posto che a questi ultimi sarebbero state concesse tariffe di settlement più basse in relazione ad operazioni su strumenti finanziari italiani.

Il Procedimento come detto è stato chiuso sulla base di impegni presentati da Monte Titoli (anche a seguito del consueto market-test) che sono stati ritenuti idonei dall’AGCM a risolvere le preoccupazioni concorrenziali sollevate. In particolare:

(i)     con il primo rimedio Monte Titoli si è impegnata ad utilizzare la medesima struttura di pricing per ICP e DCP, rendendo visibili per entrambe il costo dei servizi direttamente svolti dalla BCE rispetto a da quelli erogati dalla stessa società. Ad avviso dell’AGCM, “…la maggiore trasparenza tariffaria conseguente all’impegno riduce significativamente […] la possibilità che Monte Titoli possa utilizzare strategicamente tale componente di costo – precedentemente definita in modo forfettario e non dipendente dal calcolo granulare dei corrispettivi dovuti dai singoli ICP – per definire politiche di prezzo con finalità anticoncorrenziale a danno dei DCP…”;

(ii)     una medesima ratio ed efficacia è stata ravvisata dall’Autorità nel secondo impegno, che consiste nella predisposizione di una contabilità analitica (messa a disposizione della Banca d’Italia e della Consob, nonché della stessa AGCM) suddivisa non solo tra servizi di base (tra cui il settlement) ed accessori, come richiesto dalla CSDR, ma altresì rispetto ai costi sostenuti per le diverse tipologie di clienti (ICP e DCP), e contenente anche il dettaglio contabile dei costi dei servizi resi da Monte Titoli a favore degli investor CSD stranieri;

(iii)     la terza misura prevede l’eliminazione della scontistica concessa a favore dei nuovi clienti. Anche tale impegno è stato considerato dall’AGCM “…suscettibile di valutazione positiva, in quanto volto ad evitare discriminazioni tra i differenti intermediari”;

(iv)     infine, è stata prevista, e valutata positivamente, la creazione anticipata del ‘Comitato degli Utenti’, già disposta dalla normativa di settore.

Peraltro, in relazione alla seconda tesi accusatoria sopra riassunta, l’AGCM ha sostanzialmente escluso ogni violazione, indicando che le relative commissioni di Monte Titoli, “… alla luce delle evidenze acquisite, […] atteng[o]no al servizio di riallineamento previsto dalle stesse regole di funzionamento di T2S – il quale risponde a finalità differenti, o comunque ancillari, rispetto a quello di settlement.… [Esso] consente che il regolamento delle operazioni transfrontaliere avvenga in modo fluido e senza la duplicazione di costi economici ed operativi e, conseguentemente, appare non rilevare in ambito domestico, in quanto servizio tecnico che viene svolto esclusivamente dai CSD…”.

Nell’insieme, al di là del contenuto specifico degli impegni adottati e dai (non chiarissimi, invero) rischi di foreclosure paventati nel provvedimento di avvio, dal caso in esame emerge un intreccio complesso fra dinamiche competitive e architettura istituzionale e regolamentare del settore del post-trading. Rispetto a quest’ultimo, in particolare, la creazione di T2S sembra essere stata interpretata dai diversi attori di mercato in modo differente, i.e. in funzione della creazione di un unico mercato europeo dei servizi di settlement ed in un’ultima analisi delle attività di trading di strumenti finanziari, e quindi di una sempre maggiore concorrenza pan-europea fra CSD, ovvero (altresì) fra questi e le DCP.

Alessandro  Di Giò
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Illeciti antitrust e gare d’appalto pubbliche – Il TAR Lazio si pronuncia di nuovo sul rapporto fra l’esistenza di un provvedimento di accertamento di una violazione antitrust e cause di esclusione dalle gare di appalto pubblico

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR) ha respinto il ricorso proposto da Telecom Italia S.p.A. (Telecom) per l’annullamento della determina dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) con la quale quest’ultimo ente aggiudicava uno dei lotti della gara per l’affidamento dei servizi di Application Development and Maintenance a un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) composto, tra le altre, da Ernst & Young Financial Business Advisors S.p.A. (EY). Telecom lamentava nel ricorso che, poiché l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) aveva in precedenza accertato una condotta anticompetitiva messa in atto da EY (mandante del raggruppamento aggiudicatario), la stazione appaltante avrebbe dovuto escludere il predetto operatore plurisoggettivo dalla gara per insussistenza del requisito di moralità professionale.

Più specificamente, Telecom ravvisava la violazione dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016, che elenca le cause di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura di appalto, e che, per come interpretato nelle Linee Guida n. 6 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), includerebbe i provvedimenti di condanna dell’AGCM per pratiche commerciali scorrette o per illeciti antitrust gravi, con la condizione che questi ultimi rileverebbero ai fini dell’esclusione solo con riguardo a gare aventi a oggetto prestazioni afferenti al medesimo mercato in cui è stata posta in atto la violazione accertata.

Nel caso di specie, il TAR ha stabilito che l’affidamento dei servizi di Application Development and Maintenance del parco applicativo INPS, in ragione della molteplicità e specificità delle aree di intervento istituzionale dell’INPS, costituisce un unicum, al punto da non potersi configurare il presupposto dell’identità del mercato rilevante necessario, secondo la sopradetta interpretazione, a ricondurre l’accertamento di un illecito antitrust nella categoria del grave illecito professionale.

Il TAR, inoltre, ha voluto dare rilievo alla meritoria introduzione, da parte di EY, a seguito dell’accertamento della violazione anzidetta, di misure di “self-cleaning”, ovverosia di un programma di compliance volto a prevenire il rischio antitrust. Ciò era stato valutato con favore anche dalla stessa AGCM, che infatti aveva provveduto alla riduzione degli importi delle sanzioni applicate a EY.

Di conseguenza, valutando i due profili dell’introduzione di misure di self-cleaning e dell’impossibilità di configurare l’identità di mercato rilevante sufficienti ad evitare, nel caso di specie, la qualificazione dell’accertamento della violazione antitrust messa in atto da EY come causa di esclusione, il TAR ha respinto il ricorso.

La sentenza appare di interesse sia per l’importanza concreta nel tema nelle gare pubbliche, sia in ragione della rinnovata centralità che in essa assume il difficile tema del  confine tra questioni di legittimità e questioni di merito con riguardo alla competenza del giudice amministrativo nel valutare l’estensione del mercato rilevante (una valutazione che resta complessa anche nell’ambito dell’applicazione delle norme di cui al suddetto decreto legislativo 50/2016, e che nel caso de quo pare invero essere stata compiuta in modo abbastanza formalistico).

Riccardo Fadiga
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Concentrazioni e soglie di fatturato rilevanti per la notifica in Italia – L’AGCM aggiorna la prima soglia relativa all’insieme delle imprese interessate

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM o Autorità), in sede di rivalutazione annuale delle soglie di fatturato al di sopra delle quali sorge l’obbligo di notifica preventiva all’Autorità stessa delle operazioni di concentrazione, con provvedimento  dello scorso 20 marzo 2019, da un lato, (a) ha innalzato da 495 a € 498 milioni la soglia relativa al fatturato realizzato in Italia dall’insieme delle imprese interessate dalla concentrazione; (b) dall’altro, ha confermato la soglia di € 30 milioni relativa al fatturato realizzato individualmente in Italia da almeno due delle imprese interessate.

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AGCM e oneri di funzionamento dell’AGCM – Pubblicato il documento esplicativo sulle modalità di contribuzione agli oneri di funzionamento

Sul Bollettino dell’AGCM del 25 marzo 2019 è stato pubblicato il documento esplicativo sulle modalità di contribuzione agli oneri di funzionamento dell’Autorità che ciascuna società di capitali che abbia un fatturato superiore a € 50 milioni (voce A1 del conto economico) risultante dall’ultimo bilancio approvato è tenuta a versare all’Autorità, nella misura dello 0,055 per mille del fatturato (identica misura rispetto al 2018), entro il 31 luglio 2019. L’omesso, parziale o tardivo contributo comporterà il pagamento degli interessi legali e delle eventuali maggiori spese in caso di riscossione in seguito ad iscrizione al ruolo.

Roberta Laghi
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e servizi di trasmissione delle partite di Serie A – L’AGCM sanziona DAZN

Con il provvedimento pubblicato lo scorso 25 marzo (il Provvedimento), l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM o l’Autorità) ha sanzionato complessivamente per € 500.000 due società del Gruppo Perform (Perform), che da questa stagione opera in Italia il servizio di trasmissione online di contenuti sportivi (ivi incluse alcune partite della Serie A) DAZN.

Nel corso dell’istruttoria, avviata il 28 agosto 2018 e estesa sul piano oggettivo in data 5 ottobre 2018, erano state inizialmente contestate a Perform cinque pratiche; tuttavia, al termine del procedimento, l’AGCM ha ritenuto solamente due condotte suscettibili di una valutazione negativa: (i) la prima, relativa all’utilizzo di claim asseritamente ingannevoli (in particolare, finalizzati ad esaltare la possibilità di fruire degli eventi sportivi DAZN live e on demand da dispostivi portatili) nella promozione dell’offerta relativa alle tre partite per weekend di Serie A che Perform si è aggiudicata (a seguito di annose e articolate vicende) per il triennio 2018 – 2021, in assenza di una rappresentazione sufficientemente “immediata ed evidente” delle sussistenti limitazioni tecniche all’utilizzo del servizio offerto; e (ii) l’asserita ingannevolezza delle informazioni veicolate con riferimento alle modalità di adesione al servizio DAZN, a fronte di un’iscrizione che prevede la sottoscrizione di un abbonamento con addebito automatico del costo mensile, al termine del periodo di prova gratuita.

Dalla lettura del Provvedimento si evince come l’AGCM, attraverso la pratica sub (i), sembrerebbe aver in qualche modo censurato più che altro le occasionali criticità relativamente alla fruibilità del servizio offerto da Perform (nonostante gli investimenti sostenuti da quest’ultimo) durante i primi incontri di campionato, peraltro in larga parte spiegabile con lo stato deficitario della banda larga in Italia. Infatti, a differenza di alcune proprie decisioni precedenti in materia, l’AGCM non ha considerato il claim utilizzato da Perform (“dove vuoi, quando vuoi”) come iperbolico (ossia, volto solamente a richiamare l’attenzione dei consumatori, senza alcuna pretesa di fornire informazioni precise e specifiche circa il servizio offerto) ma ha ritenuto di interpretarlo letteralmente, ossia richiedendo anche l’esplicitazione di un livello di connessione minima ad internet (presupposto, peraltro, fisiologico - e, dunque, oramai noto - per la fruizione i qualsiasi servizio digitale).

In relazione alla condotta sub (ii), l’AGCM parrebbe essersi focalizzata, in particolare, sull’utilizzo del claim (con il quale Perform voleva evidenziare l’assenza di vincoli a lungo termine) “non c’è contratto”, quale elemento potenzialmente confusorio nella comprensione da parte del consumatore delle modalità di adesione e abbonamento al servizio DAZN, nonostante inter alia il chiaro ed immediato richiamo, nella prosecuzione del claim, alla possibilità di disdire in ogni momento il proprio abbonamento.

In ogni caso, a partire dal 6 settembre 2018 (ossia, circa una settimana dopo l’avvio del procedimento), Perform ha abbandonato i summenzionati claim, semplificando e rendendo ancor più chiare le caratteristiche del proprio servizio (di fatto, cessando così le condotte qualificate dall’AGCM come ingannevoli); inoltre, nonostante il rigetto degli impegni presentati nel corso dell’istruttoria, Perform ha inteso attuare tutta una serie di misure a beneficio dei consumatori.

Alla luce di quanto appena descritto (ed in particolare dell’esigua durata delle condotte, ossia poco più di un mese), l’AGCM sembra aver adottato un approccio piuttosto severo nella quantificazione delle sanzioni, probabilmente in considerazione della rilevanza mediatica del settore, anche se rispetto al procedimento gemello avviato nei confronti di Sky e concluso con una sanzione pari a Euro 7 milioni, Perform risulta esserne uscito meglio.

Filippo Alberti