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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della Concorrenza Italia / Abuso di dipendenza economica e settore dei fast food – L’AGCM indaga possibili condotte abusive di McDonald’s nei confronti dei suoi franchisee
Con la decisione del 27 luglio 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato l’avvio di un’istruttoria nei confronti di McDonald’s Development Italy LLC (McDonald’s o la Società) per presunte condotte integranti un abuso di dipendenza economica, poste in essere nei confronti dei suoi affiliati/franchisee. Le condotte in questione riguardano tutte le fasi della relazione commerciale tra la Società e i suoi affiliati/franchisee e, in particolare – secondo la ricostruzione preliminare operata dall’AGCM:
(i) le condotte nella fase antecedente la stipula del contratto, comprendenti, inter alia, l’obbligo per il candidato franchisee di effettuare un periodo di formazione piuttosto lungo e a suo carico presso i ristoranti della Società, a cui si è accompagnata l’assenza di informazioni sulla gestione economico-finanziaria dei ristoranti e, infine, l’impossibilità di negoziare i contenuti del contratto di affitto/franchising, di cui il candidato prendeva visione solo in sede di stipula;
(ii) le clausole inserite nel contratto di affitto di ramo di azienda e/o franchising, che comprendevano un meccanismo gravoso di corrispettivi in favore di McDonald’s (ad es. entry fee, royalties, contributi per la promozione), nonché di condizioni economico-finanziarie e operative, e ulteriori obblighi contrattuali tra cui quello di svolgere in via esclusiva l’attività di gestione del punto di ristoro , l’impegno a rispettare la politica di prezzo della Società, un obbligo di non concorrenza, pur in assenza di un’esclusiva territoriale a vantaggio del franchisee. Infine, con riguardo alle condizioni di uscita, i contratti prevedevano anche l’assenza di indennizzi o compensi all’affiliato per qualunque causa al termine del contratto, nonché un diritto di opzione in favore della Società per l’acquisto dei beni materiali di proprietà dell’affiliato;
(iii) le condotte concretamente poste in essere durante la vigenza del contratto, tra cui spiccano l’obbligo - potenzialmente rilevante anche in un’ottica di RPM - di conformarsi alla politica di prezzo adottata dall’organo competente all’interno del Gruppo McDonald’s, pur a fronte di disposizioni contrattuali che prevedono solo di “tenere conto dei prezzi consigliati”, nonché imposizioni agli affiliati in termini di scelta dei fornitori e di composizione dell’organico. Il mancato adeguamento da parte dell’affiliato alle indicazioni anzidette sembrerebbe comportare la sua “non espandibilità” (ossia l’impossibilità di acquisire ulteriori ristoranti) e, in alcuni casi, la risoluzione del rapporto di affiliazione;
(iv) le condotte adottate in seguito alla conclusione del rapporto contrattuale, che avrebbero l’effetto di rendere impossibile per l’affiliato il recupero degli investimenti effettuati sia con riguardo ai beni immateriali, sia all’avviamento, a tutto vantaggio della Società (ad es. attraverso l’acquisto, in virtù del diritto di opzione, delle attrezzature da parte di McDonald’s a prezzi irrisori (book value), attrezzature che la Società rivende ai nuovi affiliati).
Alla luce di quanto sopra, l’AGCM ha ritenuto che le condotte anzidette possano costituire un abuso di dipendenza economica da parte di McDonald’s nei confronti dei suoi affiliati, in particolare tenendo conto della diversa posizione di mercato delle parti del contratto; della stipula del contratto, sostanzialmente per adesione da parte dell’affiliato; della durata prolungata del contratto (venti anni); nonché delle difficoltà per l’affiliato, al momento della cessazione del rapporto, di recuperare l’investimento effettuato, anche attraverso l’affiliazione ad altra catena, che comporterebbe l’impossibilità di reperire sul mercato alternative al rapporto contrattuale con la Società.
L’AGCM vuole ora verificare se tali condizioni e obblighi possano risultare “ingiustificatamente gravosi” e “non indispensabili all’organizzazione del network McDonald’s e alla protezione del suo Brand o degli altri beni del Sistema”. Inoltre, secondo l’AGCM, l’uniformità delle politiche commerciali imposte ai franchisee potrebbe limitare la concorrenza intrabrand tra i ristoranti della catena McDonald’s e le condotte che hanno come effetto il trasferimento alla Società dei ritorni economici degli investimenti effettuati dai franchisee determinerebbero un illecito vantaggio a favore di McDonald’s, potenzialmente in grado di incidere anche sulla concorrenza interbrand.
La decisione desta una certa curiosità, in particolare in merito alla possibilità di connotare in termini abusivi condotte inerenti la fase antecedente la stipula di un contratto, in cui il candidato affiliato sarebbe libero di decidere se accettare o meno le condizioni proposte dalla Società (anche confrontandole con quelle di altri franchisor operanti nello stesso settore). Per saperne di più, non resta che attendere gli ulteriori sviluppi del caso; intanto, appare confermato il recente, rinnovato interesse dell’AGCM nei confronti dell’abuso di dipendenza economica (dopo molti anni senza sostanzialmente alcun enforcement al riguardo) – si veda anche la notizia che segue in questa stessa Newsletter.
Roberta Laghi
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Abuso di dipendenza economica e settore postale – L’AGCM sanziona Poste per oltre 11 milioni di euro
Lo scorso 6 agosto, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato per oltre 11 milioni di euro Poste Italiane S.p.A. (Poste Italiane) per un abuso di dipendenza economica ai sensi dell’articolo 9, comma 3 bis, della legge 18 giugno 1998, n. 192. Secondo l’AGCM, Poste Italiane avrebbe imposto clausole ingiustificatamente gravose nei contratti sottoscritti con Soluzioni S.r.l. (Soluzioni), società che svolgeva il servizio di distribuzione e raccolta di corrispondenza nella città di Napoli.
In via preliminare, l’AGCM ha ribadito che l’esistenza di un contenzioso civile (in questo caso, Soluzioni aveva chiesto l’inibitoria) non pregiudicasse la sua azione. I due procedimenti hanno oggetto e finalità differenti (in particolare, nel caso dell’AGCM, il pregiudizio per la concorrenza costituisce un elemento imprescindibile per il suo intervento) e, pertanto, non rileverebbe una possibile violazione del principio del “ne bis in idem”.
In merito alla posizione di dipendenza economica di Soluzioni, l’AGCM ha evidenziato che l’intera organizzazione aziendale di Soluzioni dipendesse interamente da Poste Italiane. Ciò in virtù:
(i) della durata del rapporto contrattuale, pari a circa 18 anni senza interruzioni (dal 1999 al 2017);
(ii) dell’asimmetria negoziale: Poste Italiane è il primo operatore nel settore postale nel mercato di riferimento, e, al contempo, un committente di rilievo e dimensioni incomparabili per Soluzioni (tanto che, nel periodo di riferimento, Soluzioni avrebbe operato in una situazione di sostanziale mono-committenza);
(iii) degli investimenti di Soluzioni per adeguarsi alle richieste di Poste Italiane (es. acquisizione del personale e mezzi di trasporto) con una notevole ingerenza di quest’ultima nei processi gestionali. Oltre ai costi significativi, ciò avrebbe limitato anche le possibilità di Soluzioni di investire in soluzioni efficienti (es. hardware/software proprietari).
L’AGCM ha poi constatato che Poste Italiane avrebbe adottato un insieme di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose nel periodo 2012-2017, tra cui si segnalano:
(a) l’ingiustificato divieto di trasporto e consegna congiunti dei prodotti di Poste Italiane e quelli di terzi, la cui inosservanza era ‘punita’ con il recesso unilaterale e senza condizioni di Poste Italiane;
(b) la possibilità per Poste Italiane di modificare, a propria discrezione, i quantitativi minimi da richiedere a Soluzioni e di modificare la tipologia di prodotti. Ciò avrebbe determinato il sostenimento di una struttura sovradimensionata rispetto quelle che potevano essere le effettive esigenze di Poste Italiane e avrebbe aggravato, senza alcuna contropartita, i costi e il rischio imprenditoriale gravanti su Soluzioni.
Inoltre, Soluzione sarebbe stata indotta a svolgere prestazioni aggiuntive non previste dal contratto e non retribuite, con riferimento alla riscossione delle somme dovute dai destinatari delle raccomandate in/con contrassegno e il versamento di quanto recuperato agli uffici postali.
Secondo l’AGCM, la combinazione delle condotte di Poste Italiane avrebbe pregiudicato la funzionalità aziendale di Soluzioni, costringendola a mantenere un’organizzazione costosa e inefficiente e impedendole di affrancarsi dalla condizione di sostanziale mono-committenza.
Da ciò sarebbe derivato un danno alla concorrenza nel mercato della fornitura del servizio di distribuzione e raccolta di corrispondenza, dal momento che Poste Italiane avrebbe causato l’uscita di un operatore che avrebbe potuto sia prestare la propria attività a favore di operatori postali alternativi, sia costituire un potenziale vincolo concorrenziale a livello locale.
Il provvedimento in esame si inserisce all’interno di un nuovo filone di casi relativi alla fattispecie dell’abuso di dipendenza economica rispetto al quale, come anticipato nel precedente articolo, l’AGCM era stata tradizionalmente riluttante ad accertare tale illecito. In proposito, si segnalano anche i recenti casi Benetton e, in questa stessa newsletter, McDonalds.
Luigi Eduardo Bisogno
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Tutela del Consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore energetico – L’AGCM conclude tredici distinti procedimenti accogliendo gli impegni di 11 società e sanzionandone 2
Con le decisioni pubblicate sul bollettino del 9 agosto scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso 13 distinti procedimenti avviati rispettivamente nei confronti dei principali operatori del settore della fornitura di energia elettrica e gas naturale sul mercato libero, ossia E.ON, Enel Energia, Optima, Green Network, Illumia, Wekiwi, Olimpia-Gruppo Sinergy, Gasway, Dolomiti Energia, Axpo e Audax, Argos e Sentra Energia (congiuntamente, le Società). L’AGCM ha accolto gli impegni proposti da tutte le società interessate, ad eccezione di Argos, a cui è stata comminata una sanzione pari a 2.160.000 euro e Sentra Energia, sanzionata per 250.000 euro.
Tutti i procedimenti sono stati avviati tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre 2020, sulla base di numerose segnalazioni giunte dai consumatori. Nel corso dell’istruttoria, l’AGCM ha analizzato in dettaglio sia la documentazione contrattuale, sia i messaggi promozionali e gli script di vendita delle Società, contestando, inter alia:
(i) l’omessa indicazione, tanto nei contratti quanto nei materiali promozionali, del valore dei c.d. “oneri di commercializzazione” (generalmente denominati, dalle società operanti nel settore: “Prezzo di Commercializzazione e Vendita – PCV” per l’energia elettrica e “Quota Vendita al Dettaglio – QVD” per il gas). Nell’ottica dell’AGCM, infatti le Società avrebbero usualmente pubblicizzato ai consumatori dei prezzi delle proprie offerte contenenti solamente l’indicazione del prezzo della “componente energia”, omettendo di specificare il valore di tali oneri aggiuntivi, sebbene gli stessi rappresentino una componente essenziale del prezzo della fornitura per il consumatore nonché una parte importante dei ricavi delle imprese;
(ii) la mancanza di informativa completa e trasparente in fase di comunicazione delle variazioni contrattuali, in cui talvolta risultava difficoltoso per i clienti avere chiara e piena conoscenza di tali variazioni;
(iii) l’imposizione ai consumatori di oneri impropri o penali, denominati dalle Società in vario modo (ad es. come spese di spedizione della bolletta o storno di sconti concessi al momento della sottoscrizione dei contratti) che venivano applicati regolarmente o in caso di recesso anticipato dal contratto di fornitura.
Al fine di risolvere le criticità concorrenziali sollevate dall’AGCM, undici delle Società si sono impegnate:
(i) ad esplicitare, sia nelle condizioni contrattuali, sia nel materiale promozionale e di vendita, con pari dignità grafica, l’esistenza di tutti i costi a carico del cliente in modo da permettere ai consumatori di avere piena contezza del prezzo complessivo della propria offerta di fornitura;
(ii) a non addebitare ai consumatori alcuna penale o onere improprio, nonché a rimborsare integralmente quanto eventualmente addebitato a tale titolo dal 2018 a tutti i consumatori, sia ancora clienti, sia cessati; e
(iii) a modificare le modalità di comunicazione delle variazioni contrattuali unilaterali, impegnandosi ad informare i propri clienti in modo chiaro, completo e trasparente tramite apposite specificazioni nell’oggetto e nel testo delle comunicazioni. Tali impegni sono stati ritenuti idonei dall’AGCM a superare tutte le criticità inizialmente sollevate in fase in fase di avvio.
Al contrario, l’AGCM non ha ritenuto idonei gli impegni presentatati da Sentra Energia, in quanto, dall’analisi degli esempi di materiale promozionale allegato alla propria proposta di impegni, risultava che le concrete modalità di rappresentazione delle condizioni economiche di fornitura non fossero atte a garantire pari evidenza grafica a tutte le voci di costo che caratterizzavano l’offerta commerciale. Argos non ha invece presentato alcuna proposta di impegni.
Con la chiusura dei tredici procedimenti in oggetto, l’AGCM ha inoltre indicato di aver avviato sei nuove istruttorie nei confronti delle società Visitel, Enne Energia, Ubroker, Bluenergy, Europe Energy e Ajò Energia, al fine di accertare l’esistenza di analoghe criticità nelle offerte proposte sul mercato libero. Da ultimo, l’AGCM ha reso noto di aver compiuto tre interventi di moral suasion nei confronti di Eni gas e luce, A2A e Sorgenia, invitandole a rendere più chiare e complete le comunicazioni promozionali, attuali e future.
Luca Casiraghi
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Appalti, concessioni e regolazione / L’Adunanza Plenaria si pronuncia sull’istituto della revisione dei prezzi in relazione all’ipotesi di impresa soggetta ad interdittiva antimafia
In data 6 agosto 2021, con sentenza n. 14/2021, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha risolto la controversa questione interpretativa se un’impresa destinataria di interdittiva antimafia abbia o meno diritto alla revisione dei prezzi delle prestazioni già eseguite alla data della cessazione – obbligatoria per effetto della stessa interdittiva - dei rapporti contrattuali pendenti con le pubbliche amministrazioni.
La decisione in commento origina da una vicenda in cui un’impresa attiva nel settore dei servizi di pulizia e global service, dopo l’interruzione dei rapporti contrattuali con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Catania dovuta all’intervenuta interdittiva antimafia, si era vista negata un’istanza di revisione dei prezzi (al rialzo) delle prestazioni già eseguite. Ciò sul presupposto che l’interdittiva impedisse l’applicazione dell’istituto della revisione dei prezzi disciplinato dal Codice dei contratti pubblici. L’Adunanza Plenaria è stata sollecitata a pronunciarsi sul tema dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia.
La risoluzione della questione interpretativa da parte dell’Adunanza Plenaria è stata preceduta da un excursus degli istituti rilevanti. In particolare, il massimo organo della giustizia amministrativa:
(i) in primo luogo, ha preso atto che l’interdittiva antimafia comporta un’incapacità legale dell’impresa destinataria che non può entrare in nessun rapporto contrattuale con la p.a. (oltre a dover rinunciare a quelli già esistenti) e, dunque, non può ricevere alcun tipo di esborso da parte della stessa p.a. L’unica eccezione a questa regola è quella rappresentata dal “pagamento del valore delle opere già eseguite”;
(ii) in secondo luogo, ha ricostruito la logica della revisione dei prezzi nell’ambito dei contratti pubblici ad esecuzione continuata, che serve a riequilibrare il rapporto contrattuale tra parte pubblica e parte privata, facendo in modo che il corrispettivo pagato continui a corrispondere all’effettivo valore delle prestazioni eseguite. Allo stesso tempo, si tutela l’interesse pubblico che i beni e servizi forniti alla p.a. non subiscano, nel corso del tempo, una diminuzione qualitativa a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni con un prezzo non aggiornato al valore effettivo.
In tale contesto, la problematica interpretativa posta all’Adunanza Plenaria è cosa debba intendersi per “valore delle opere già eseguite” nell’ambito della disciplina dell’interdittiva antimafia: se questo valore corrisponda (i) al prezzo pattuito nel contratto stipulato originariamente oppure (ii) al prezzo ‘aggiornato’ all’effettivo valore mediante il meccanismo della revisione dei prezzi.
L’Adunanza Plenaria ha scelto la seconda opzione sul presupposto che la finalità della revisione dei prezzi non ha alcuna finalità risarcitoria ma è soltanto funzionale a garantire una reale (ossia non falsata dal passare del tempo) corrispondenza tra corrispettivo e valore effettivo delle prestazioni.
La sentenza in commento risolve una questione interpretativa controversa. In un’ottica di analisi degli incentivi, si potrebbe peraltro argomentare che negare una revisione (chiaramente al rialzo) delle prestazioni eseguite da un’impresa destinataria di un’interdittiva antimafia, nell’ambito di un rapporto contrattuale ad esecuzione continuata, potrebbe costituire un ulteriore disincentivo nei confronti di imprese a rischio di infiltrazione criminale (oltre ai numerosi già predisposti dalla normativa antimafia) a esporsi a condizionamenti e/o finanche a ingressi di capitali di matrice mafiosa.
Alessandro Paccione
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Legal News / Clausole vessatorie e valore delle decisioni dell’AGCM –Le decisioni dell’AGCM hanno un valore di presunzione legale nel contenzioso civile anche in materia di clausole vessatorie
In data 31 agosto 2021 la Corte di Cassazione (Cassazione) si è pronunciata in tema di clausole contrattuali concernenti il meccanismo di indicizzazione dei contratti e di estinzione anticipata per contrarietà al TUF e al TUB, anche (e soprattutto) con riferimento alle norme di tutela contro le clausole vessatorie.
Appare utile ripercorrere preliminarmente la vicenda nel suo complesso. Negli anni tra il 2003 e il 2010, Barclays Bank (Barclays) aveva promosso un mutuo in euro indicizzato al franco svizzero, assicurando tassi più bassi grazie al fatto che il Libor (tasso d’interesse di mercato a cui le banche si scambiano prestiti in franchi svizzeri) era più basso dell’Euribor. Tuttavia, in questi contratti di mutuo veniva previsto che, in caso di estinzione anticipata, il residuo in euro fosse convertito in franchi svizzeri al tasso di cambio convenzionale, ossia quello della stipula del mutuo ma poi riconvertito in euro al tasso di cambio del momento dell’estinzione.
Alla fine del 2014, il Franco Svizzero si era apprezzato sull’euro ed i mutuatari si erano ritrovati costretti a dover restituire a Barclays cifre elevatissime per effetto della clausola di estinzione anticipata. Fino a quel momento, i prenditori dei mutui non si erano resi conto del debito che stavano accumulando perché Barclays, con quella che l’AGCM aveva ritenuto essere una scarsa trasparenza, mandava estratti periodici e i piani di ammortamento in euro secondo il tasso convenzionale.
Vennero quindi avviati numerosi contenziosi, accolti dal giudice di primo grado sancendo la vessatorietà di varie clausole (e in particolare di quella relativa al meccanismo di conversione in caso di estinzione anticipata del contratto). Coerentemente con ciò, nel 2018, dopo una consultazione pubblica, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva deliberato che alcune clausole del contratto di mutuo in esame erano vessatorie: in particolare, quelle relative al calcolo degli interessi, all’estinzione anticipata e alla conversione in euro del contratto. Tale vessatorietà delle clausole era stata accertata dall’AGCM ex articolo 35, comma 1, del Codice del consumo, risultando le stesse scarsamente comprensibili per il consumatore sia su un piano strettamente lessicale e grammaticale in merito al loro singolo contenuto, sia alla luce del contesto complessivo del contratto nel quale sono inserite.
Nonostante tale statuizione, però, in secondo grado la Corte di Appello di Milano (CoA) aveva accolto gli appelli di Barclays, ritenendo che le clausole fossero chiare se valutate nell’ambito dell’interpretazione complessiva dei contratti).
La vicenda è quindi arrivata in Cassazione, la quale si pronuncia con la sentenza in commento. Secondo la Cassazione, alla valutazione dell’AGCM sulla vessatorietà o meno delle clausole dei contratti tra professionista e consumatore va riconosciuto il valore di presunzione legale, anche se soggetta a prova contraria. Il giudice ordinario, chiamato ad occuparsi del regolamento alla base del contratto considerato non chiaro dall’AGCM, ha invero il dovere di dare una motivazione rafforzata e di confutare in modo specifico le conclusioni raggiunte in sede amministrativa.
Alla valutazione sulle clausole dell’AGCM va dunque attribuito un valore privilegiato nel giudizio civile tra privato e professionista, valore che porta la Cassazione ad accogliere sul punto il ricorso di due clienti di Barclays che – anche supportati dall’accertamento dell’AGCM – avevano lamentato la vessatorietà delle clausole suddette.
Tale valore attribuito alle decisioni dell’AGCM avvicina la tutela dei consumatori e la disciplina delle ‘clausole vessatorie’ a quello del private enforcement nel campo antitrust. In quest’ultimo settore peraltro, il Decreto Legislativo n. 3/2017 sul risarcimento del danno derivante da illeciti anticoncorrenziali prevede, ancora più radicalmente, che i provvedimenti dell’AGCM definitivi siano vincolanti nei giudizi civili con riguardo alla “…natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale”.
Mila Filomena Crispino