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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Abusi e monopoli legali – L’AG Rantos si pronuncia sulla sanzione irrogata a Enel per utilizzo discriminatorio di dati relativi alla clientela

Nel contesto del procedimento C-377/20 Servizio Elettrico Nazionale, lo scorso 9 dicembre l’Avvocato Generale Rantos (l’AG) ha rassegnato le sue conclusioni in merito ai quesiti pregiudiziali rimessi alla Corte di Giustizia dal Consiglio di Stato. Il rinvio origina dal ricorso proposto da Enel avverso il provvedimento A333 Enel Trade – Clienti idonei, con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) sanzionava Enel S.p.a., Servizio Elettronico Nazionale (SEN) S.p.a. ed Enel Energia S.p.a. (EE) per una serie di condotte escludenti nel mercato della distribuzione dell’energia elettrica.

La condotta abusiva sanzionata dall’AGCM si colloca sullo sfondo del processo di liberalizzazione che interessava in quegli anni il settore energetico. Tale processo si è sostanziato: (i) nell’apertura del mercato libero in prima battuta a una serie di clienti di maggiori dimensioni; (ii) nel mantenimento di un regime transitorio di mercato vincolato per i clienti minori; (iii) nel progressivo unbundling delle attività di Enel S.p.A. (Enel), operatore fino ad allora attivo come monopolista legale sui mercati della produzione e distribuzione di energia, in SEN (attiva nel mercato della distribuzione dell’energia nei mercati transitoriamente vincolati) ed EE (fornitore di energia elettrica nel mercato libero). Secondo l’AGCM, Enel e le sue controllate avrebbe posto in essere una strategia escludente volta a far migrare i clienti da SEN ad EE con l’obiettivo di cautelarsi dal rischio di un passaggio massivo degli utenti a fornitori terzi a seguito dell’abolizione del mercato tutelato. Nello specifico, l’AGCM ha rilevato inter alia che SEN avrebbe reso disponibili ad EE le liste anagrafiche dei propri clienti – secondo l’AGCM un input strategico. Ciò avrebbe consentito ad EE di formulare offerte commerciali alla clientela protetta in vista del passaggio al mercato libero godendo di un vantaggio non replicabile dagli operatori alternativi.

Posto di fronte al quesito pregiudiziale sollevato dal Consiglio di Stato – ossia, se le condotte vietate ex art. 102 TFUE possano essere “di per sé del tutto lecite ed essere qualificate “abusive” unicamente in ragione dell’effetto (potenzialmente) restrittivo” oppure se “debbano essere contrassegnate anche da una specifica componente di antigiuridicità, costituita dal ricorso a “metodi (o mezzi) concorrenziali diversida quelli “normali”” e, in quest’ultimo caso, “sulla base di quali criteri si possa stabilire il confine tra la concorrenza “normale” e quella “falsata”” – l’AG ha osservato, in conformità alla consolidata giurisprudenza europea, che il carattere abusivo di una condotta presuppone la sua capacità potenziale – non necessariamente concreta ma neppure meramente ipotetica – di restringere la concorrenza. Non ogni condotta escludente integra tuttavia gli estremi dell’art. 102 TFUE, dovendosi ritenere esclusi i mezzi afferenti a un normale regime di concorrenza sui meriti. Più specificamente, l’AG ha ritenuto che “le pratiche di esclusione di un’impresa dominante replicabili da concorrenti altrettanto efficienti non rappresentano, in linea di principio, comportamenti che possono dar luogo ad una preclusione concorrenziale”.

Facendo applicazione di tali punti di diritto al caso di specie, l’AG ritiene che per valutare l’illegittimità della condotta di Enel il giudice del rinvio dovrebbe analizzare: (i) l’importanza che le liste anagrafiche di SEN presentano sotto il profilo concorrenziale; (ii) la discriminatorietà dell’accesso alle liste non permesso ai concorrenti; (iii) indipendentemente dal punto precedente, la replicabilità delle liste di SEN, ad esempio, mediante ricorso ad analoghe liste compilate professionalmente da imprese attive nel telemarketing. Ove si dimostri la sovrapponibilità di queste ultime con le liste di SEN in termini di prezzo e accessibilità, il potenziale escludente (e quindi contrario all’art. 102) non sarebbe più imputabile ad Enel ma all’inerzia dei suoi concorrenti, facendo quindi venire meno l’antigiuridicità della condotta. In aggiunta, l’AG ricorda che lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante è una nozione oggettiva, che prescinde dall’intenzione delle parti. Ne deriva che in linea di principio “il movente soggettivo dell’impresa dominante non figura fra gli elementi costitutivi dell’abuso, cosicché un’autorità garante della concorrenza non è tenuta a dimostrarlo per accertare l’esistenza di un siffatto abuso”.

L’analisi dell’AG, dunque, si focalizza sul potenziale effettivamente restrittivo della condotta oggetto di scrutinio (verificato nel caso concreto e a valle di un’analisi puntuale delle opzioni effettivamente disponibili ai concorrenti) e si pone in dichiarata linea di continuità con l’orientamento manifestato dalla Corte di Giustizia nei casi Intel, TeliaSonera e Post Danmark I e II. Resta da vedere in che termini la Corte di Giustizia farà proprie le conclusioni dell’AG.

Alessandro Canosa

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Cooperazione internazionale e settore tech – UE e USA lanciano il Joint Technology Competition Policy Dialogue

In data 7 dicembre 2021, la Commissione europea, la Federal Trade Commission e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti hanno istituito il cosiddetto “Joint Technology Competition Policy Dialogue” (TCPD), basato su riunioni periodiche dei vertici e discussioni tecniche regolari dei funzionari europei e statunitensi. Il fine dichiarato del progetto è quello di sviluppare approcci comuni e rafforzare la cooperazione in materia di politica di concorrenza e di applicazione di tali norme nel settore digitale e tecnologico.

Il TCPD si inserisce in un contesto di cooperazione più ampio: già a giugno 2021, infatti, è stato avviato il EU-US Trade and Technology Council (TTC). Il TTC verrà utilizzato come forum per gli Stati Uniti e l’Unione europea per coordinare gli approcci alle principali questioni commerciali, economiche e tecnologiche globali e per incrementare il commercio transatlantico.

Si tratta di uno strumento di cooperazione di importante rilievo, soprattutto alla luce del profondo interesse che le autorità in parola stanno riservando al settore digital, anche in considerazione di un percepito underenforcement e della necessità di pronunciarsi su condotte che spesso hanno una portata globale. Di particolare interesse l’affermazione, nel comunicato stampa congiunto, che ciò è nell’interesse “dei consumatori, delle imprese e dei lavoratori”, il che sembra suggerire un allineamento circa un enforcement che non focalizzi l’analisi degli eventuali effetti delle condotte oggetto di scrutinio sul solo consumatore finale.

Mila Filomena Crispino

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Diritto della Concorrenza Italia / Abuso di posizione dominante e vendite online – L’AGCM ha sanzionato Amazon per oltre 1 miliardo di euro

Lo scorso 9 dicembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha pubblicato il provvedimento (Provvedimento) con il quale ha concluso l’istruttoria, avviata il 10 aprile 2019, nei confronti delle società Amazon Europe Core S.à.r.l., Amazon Services Europe S.à r.l., Amazon EU S.à r.l., Amazon Italia Services S.r.l. e Amazon Italia Logistica S.r.l. (congiuntamente Amazon) per abuso di posizione dominante, sanzionando quest’ultima per oltre 1 miliardo di euro.

L’abuso, così come accertato dall’AGCM, sarebbe consistito nel condizionare alla sottoscrizione del servizio di logistica Fulfillment by Amazon (FBA) l’accesso ad un insieme di funzionalità particolarmente importanti per migliorare le performance di vendita dei terzi attivi nel marketplace, tra le quali:

  • la classificazione “Prime”, necessaria per raggiungere il bacino di utenti premium, i più fidelizzati e tendenzialmente quelli con una maggiore propensione alla spesa;
  • l’automatica non applicabilità di una serie di verifiche sulla loro perfomance che, laddove avessero esito negativo, possono portare all’esclusione dal marketplace;
  • la possibilità di partecipare ad eventi speciali come il Black Friday o il Prime Day;
  • una maggior probabilità di ottenere un posto nella c.d. Buy Box, ossia il riquadro della scheda prodotto dal quale l’utente può aggiungere l’articolo nel carrello oppure acquistarlo direttamente.

In altre parole, i vantaggi assicurati dalla sottoscrizione al servizio FBA sarebbero condizione necessaria per il successo all’interno della piattaforma Amazon senza che – secondo l’AGCM – questo derivi da un’oggettiva e dimostrata migliore performance della logistica Amazon rispetto a quella messa a disposizione ai retailer da parte degli operatori di logistica concorrenti. Amazon avrebbe pertanto impedito ai concorrenti nel mercato contiguo della logistica per l’e-commerce di competere ad armi pari nel soddisfare la domanda dei retailer. Secondo l’AGCM tale condotta è qualificabile come un abuso della posizione dominante di Amazon sul mercato dei servizi di intermediazione su marketplace, avente un effetto restrittivo della concorrenza anche su tale mercato in quanto i costi del servizio FBA, insieme all’inefficienza della scelta di moltiplicare i magazzini, avrebbero contribuito a ridurre il numero di venditori che adottavano una strategia di multi-homing, ovvero di presenza su più piattaforme, portando ad un peggioramento della posizione concorrenziale degli altri operatori attivi in questo mercato. Questo, secondo l’AGCM si sarebbe tradotto a sua volta in un pregiudizio per il consumatore finale, che avrebbe visto ridursi la possibilità di acquistare a condizioni appetibili su marketplace alternativi.

Interessante notare come secondo l’AGCM, i programmi alternativi esistenti, quali il Seller Fulfillment Prime (SFP) o il servizio di gestione multicanale, Multi-Channel Fulfillment (MCF), non sarebbero sufficienti a far venir meno la condotta abusiva: SFP permetterebbe teoricamente al venditore di accedere ai vantaggi elencati sopra affidandosi a servizi di logistica esterni ma allo stesso tempo Amazon si pone come intermediario necessario tra venditori e vettori, soprattutto per quanto riguarda la determinazione del prezzo di consegna, impedendo così agli operatori della logistica di intercettare liberamente la domanda dei retailer e imponendo dei costi elevati in capo al programma che ne ostacolano di fatto l’adozione. Il servizio di gestione multicanale, invece, è poco utilizzato in ragione tanto del suo costo quanto per il fatto che il venditore può usufruirne solo su offerte attive anche su Amazon, con l’ulteriore conseguenza che i prodotti ordinati, anche se effettuati attraverso altre piattaforme, raggiungono il cliente con apposto il logo Amazon.

Per le ragioni di cui sopra, l’AGCM ha ritenuto la condotta idonea ad alterare le dinamiche della concorrenza e ha per questo motivo applicato una sanzione amministrativa pecuniaria pari a circa 1 miliardo e 128 milioni di euro. Particolarmente interessante notare come l’AGCM abbia anche imposto una serie di obblighi positivi volti a ripristinare le condizioni concorrenziali dei mercati della logistica per e-commerce e dell’intermediazione sui marketplace.

Amazon ha risposto alla pubblicazione del Provvedimento con un comunicato stampa nel quale ha manifestato il proprio disaccordo con la decisione dell’Autorità e ha annunciato l’intenzione di proporre ricorso; appare inoltre più che verosimile che Amazon richieda delle misure cautelari per la sospensione dell’efficacia della decisione, non solo per la sanzione ma anche per le puntuali prescrizioni imposte per porre fine alla condotta anticoncorrenziale. Sarà in ogni caso interessante osservare gli sviluppi di una decisione di così alto profilo presso il giudice amministrativo italiano.

Alessia Delucchi

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Intese e settore dell’editoria scolastica – L’AGCM accetta e rende obbligatori gli impegni presentati da alcune case editrici e dalle relative associazioni di categoria

Con il provvedimento del 16 dicembre 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) rende obbligatori gli impegni presentati da alcune società e associazioni di categoria operanti nel settore dell’editoria scolastica.

Circa un anno fa l’AGCM aveva avviato una istruttoria nei confronti di cinque società operanti nel settore dell’editoria scolastica tra cui De Agostini Scuola S.p.A., Mondadori Education S.p.A., Rizzoli Education S.p.A., Pearson Italia S.p.A. e Zanichelli Editore S.p.A. (le Parti) per accertare l’esistenza di violazioni di cui all’articolo 101 del TFUE. In particolare, l’attività di indagine dell’AGCM era volta ad appurare la portata delle cosiddette “clausole di gradimento” presenti nei contratti stipulati tra le Parti e la loro rete di promotori, le quali prevedono che la facoltà del promotore di contrattualizzare un nuovo editore sia subordinata alla discrezionale autorizzazione dell’editore che già rappresenta. Successivamente, l’attività di indagine si è estesa anche nei confronti dell’Associazione Italiana Editori e dell’Associazione Nazionale Agenti Rappresentanti Promotori Editoriali (di seguito, le Associazioni di categoria) poiché nell’accordo economico collettivo per la disciplina del rapporto di promozione editoriale scolastica è presente la clausola in questione.

Secondo la preliminare valutazione dell’AGCM, tali clausole sarebbero potenzialmente idonee a restringere la concorrenza poiché “in grado di determinare una uniforme organizzazione dei rapporti verticali su tutto il territorio nazionale e per tutti gli operatori secondo un modello idoneo suscettibile di determinare restrizioni della concorrenza”, con possibili effetti escludenti in particolare degli editori minori.

Onde risolvere tali preoccupazioni le Associazioni di categoria si sono impegnate in maniera definitiva a: (i) sopprimere la clausola di non concorrenza; (ii) non introdurre un analogo divieto; (iii) pubblicizzare in maniera adeguata le intervenute modifiche al contratto economico collettivo per la disciplina del rapporto di promozione editoriale scolastica. Analogamente, Parti si sono impegnate: (i) per cinque campagne a rinunciare all’esercizio della clausola di gradimento e, ove prevista, di quella di esclusiva, nei confronti di tutti gli agenti/promotori delle rispettive reti commerciali; e (ii) a votare in tutte le sedi delle rispettive associazioni di categoria a favore della soppressione della clausola relativa al divieto di concorrenza.

Non è la prima volta che l’AGCM interviene con una istruttoria in questo settore. Infatti, anche nel 2007 è stata aperta una istruttoria, conclusasi poi con un’accettazione degli impegni, nei confronti delle maggiori case editrici volte a verificare la possibile esistenza di un’intesa tra le stesse. In particolare, si ipotizzava – stante il peculiare assetto del mercato dell’editoria scolastica caratterizzato dalla stabilità e da una significativa omogeneità delle quote di mercato – una possibile attività di coordinamento tra i maggiori operatori al suo interno. L’attenzione dell’AGCM in questo settore si riporta, d’altronde, all’importanza che lo stesso riveste nel contesto dello sviluppo economico-culturale del paese e delle sue ricadute sociali.

Maria Spanò

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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti pubblici e obblighi dichiarativi in sede di gara - Il TAR Piemonte ne chiarisce la portata temporale

Con la sentenza n. 1108/2021 dello scorso 2 dicembre 2021, il TAR Piemonte ha accolto il ricorso che un’impresa costituita in r.t.i. (l’Impresa) ha proposto avverso il provvedimento con cui So.G.I.N. - Società Gestione Impianti Nucleari S.p.A. (Sogin) aveva escluso la stessa della procedura per una asserita carenza di requisiti di ordine generale.

I fatti rilevanti che hanno dato origine alla vicenda si inquadrano nell’attività di Sogin che aveva bandito una gara per l’affidamento dei lavori di “progettazione esecutiva ed esecuzione delle attività di demolizione parziale edificio turbina presso la Centrale di Trino (VC)”. Per un importo stimato pari a circa 3 milioni di euro, i lavori erano finalizzati allo smantellamento degli edifici non essenziali alla c.d. isola nucleare. L’Impresa si era posizionata prima in graduatoria. Tuttavia, all’esito dei controlli preordinati alla verifica dei requisiti di ordine generale ex art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, Sogin ha proceduto ad escludere l’Impresa e ad aggiudicare la gara alla seconda classificata. Nel caso di specie, era emerso che uno dei procuratori speciali della società mandante dell’Impresa era stato condannato in via definitiva nel 2018 per un fatto risalente al 2008. In particolare, il procuratore era stato condannato a due mesi e venti giorni di reclusione per il reato di falsità materiale ex art. 477 c.p. per aver costruito un DURC falso attestante il regolare pagamento dei contributi previdenziali al fine di ottenere l’autorizzazione al subappalto nell’esecuzione di lavori pubblici.

Sogin, dopo aver richiesto se l’Impresa aveva adottato delle misure di self-cleaning al fine di mitigare l’incidenza di tale condanna rispetto alla propria affidabilità professionale, ha proceduto ad escluderla per aver presentato tout court una falsa dichiarazione ex art. 80, comma 5, lett. f), del Codice appalti avendo del tutto omesso di dichiarare l’esistenza di tale condanna in sede di partecipazione. Tale disposizione prevede infatti l’esclusione automatica in caso di false attestazioni o dichiarazioni.

Il ricorso si è appuntato su tre motivi di illegittimità, tra cui: (i) la mancanza di una falsa dichiarazione ma, al più, di una omessa dichiarazione, che avrebbe dovuto condurre ad una valutazione in ordine alla rilevanza della condanna e non ad una esclusione automatica, e (ii) l’irrilevanza della sentenza di condanna rispetto alla procedura di gara, in quanto risalente nel tempo e in ogni caso di modesta entità sostanziale.

Il TAR Piemonte ha accolto il ricorso dell’Impresa e annullato l’esclusione.

In primo luogo, il Collegio ha ritenuto che la fattispecie non dovesse essere ricondotta tout court ad una falsa dichiarazione ex art 80, comma 5, lett. f), del Codice (che comporta sempre un’esclusione automatica dalla procedura di gara). Al contrario, essa andava qualificata come un’omissione di informazioni che comportava la necessità di una valutazione sull’integrità ed affidabilità dell’operatore alla luce della circostanza omessa. In altre parole, la questione andava ricondotta all’ipotesi generale del “grave illecito professionale” ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice appalti. Per l’effetto, l’esclusione dell’Impresa poteva essere eventualmente disposta solo ‘a valle’ di una valutazione in concreto. In tal caso, l’esclusione tramite meccanismi automatici era dunque illegittima.

Il TAR avrebbe potuto forse interrompere “qui” la propria analisi, in applicazione del principio della c.d. decisione più liquida. Tale rilievo era infatti sufficiente ad annullare il provvedimento di esclusione. Invece, considerato l’interesse sostanziale dell’Impresa, il TAR è andato oltre, analizzando anche la rilevanza e gravità della sentenza taciuta rispetto alla procedura di gara.

In secondo luogo, dunque, il giudice ha analizzato la portata della rilevanza temporale dell’obbligo dichiarativo delle condanne non automaticamente escludenti ex art. 80, comma 5, lett. c), del Codice appalti.

Su questo aspetto, il legislatore è intervenuto più volte, da ultimo con il d.l. n. 32/2019 (c.d. sbloccacantieri). In estrema sintesi, alla luce della normativa applicabile la condanna era astrattamente rilevante per la gara per cui è causa e doveva dunque essere dichiarata e valutata ai fini della affidabilità professionale dell’Impresa.

La sentenza in commento riconosce del resto che la giurisprudenza amministrativa si è espressa in più occasioni riconoscendo, in maniera costante, che il limite di rilevanza temporale del fatto astrattamente configurabile quale “grave illecito professionale” è triennale e decorre dal passaggio in giudicato della sentenza, a prescindere dalla natura e durata della condanna sottesa.

Nonostante quanto sopra, il TAR ha ritenuto che tale lettura dovesse essere superata. Secondo il TAR, l’applicazione del limite di rilevanza triennale per i reati ‘meno gravi’, ossia relativi ai “gravi illeciti professionali”, produrrebbe intollerabili effetti di incoerenza rispetto a quanto previsto per le condanne per i reati ‘più gravi’ e automaticamente escludenti. Per questi ultimi, infatti, il comma 10-bis del Codice prevede un termine di rilevanza della causa escludente pari alla durata della pena stessa (nell’ipotesi di pene inferiori a 7 o 5 anni). In altre parole, nelle ipotesi di condanne a pene inferiori a tre anni per taluno dei reati più gravi e che comportano un’esclusione automatica, si avrebbe un’efficacia temporale della rilevanza della condanna inferiore rispetto quella che dovrebbe applicarsi per i reati meno gravi (non automaticamente escludenti) qual è il caso dell’Impresa, in cui è stata comminata una pena di circa due mesi di reclusione.

Pertanto, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata e sistematica della normativa rilevante, nonché del principio di proporzionalità previsto nel caso di specie a livello eurounitario il Collegio ha ritenuto che:

  • il termine di tre anni di rilevanza sia applicabile agli illeciti professionali contrattuali e alle condanne superiori ai tre anni stessi;
  • laddove la durata della condanna comminata sia inferiore ai tre anni, applicando in via analogica il criterio previsto per i reati più gravi ai sensi del comma 10-bis, la rilevanza sarà pari alla durata della pena, a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza.

La sentenza appare senz’altro utile a tutti gli operatori che partecipano alle gare pubbliche. Ha il pregio di delineare in maniera chiara il periodo di rilevanza e il correlato obbligo dichiarativo rispetto a tutte le sentenze che non costituiscono una causa di esclusione automatica rientranti nel novero dei “gravi illeciti professionali”. Al netto dei pur condivisibili risultati cui è giunta, il TAR sembrerebbe però aver apportato delle vere e proprie modifiche alle norme esaminate. De iure condito, pertanto, sulla base delle medesime motivazioni addotte dal TAR per giustificare il revirement interpretativo assunto, la questione poteva forse meritare una rimessione alla Corte Costituzionale ovvero, a tutto voler concedere, alla CGUE. Ciò nonostante, la sentenza ha sicuramente il pregio della ricostruzione sistematica e chiarificatrice della disciplina normativa degli appalti applicabile.

Tommaso Filippo Massari

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