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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della Concorrenza Italia / Intese e contatori idrici – L’AGCM sanziona cinque società per aver preso parte ad uno schema collusivo di manipolazione dell’offerta in aste pubbliche

Con il provvedimento adottato il 1° febbraio 2022, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato cinque società G2 Misuratori S.r.l., Maddalena S.p.A., Itron Italia S.p.A., Sensus Italia S.r.l. e WaterTech S.p.A. per aver partecipato, tra il dicembre 2011 e il settembre 2019, ad un’intesa restrittiva della concorrenza in almeno 161 gare pubbliche indette dai gestori del servizio idrico integrato nazionale per l’approvvigionamento di contatori di piccole e medie dimensioni per la misurazione legale dei consumi. L’AGCM ha sanzionato anche le controllanti in ragione – inter alia – del diretto coinvolgimento nell’approvazione della partecipazione a gare di particolare rilevanza, ovvero, della predeterminazione dei target finanziari che le controllate dovevano cercare di raggiungere.

Nello specifico, la condotta illecita accertata dall’AGCM consisteva in uno schema collusivo con il quale si individuava, di volta in volta, non solo la società cui spettava l’affidamento della commessa ad esito della gara ma anche il tipo di comportamento che le altre società partecipanti avrebbero dovuto tenere, sia tramite l’individuazione di un prezzo minimo o di sconto massimo da applicare, sia tramite l’indicazione di non partecipare a specifiche gare. Nella sua istruttoria, avviata a seguito della segnalazione di un dipendente nel 2018, l’AGCM si è basata principalmente su circa 70 fax relativi al periodo 2012-2015, ricevuti anonimamente e contenenti numerosi dettagli. Questi documenti hanno permesso di identificare un articolato modus operandi fino al 2019 in ragione di comunicazioni sospette via Skype e Whatsapp volte anche ad organizzare incontri informali nei giorni precedenti alle gare. Giova inoltre evidenziare che, ai sensi della giurisprudenza eurounitaria, la condotta sopra descritta è stata considerata come unica e complessa. Infatti, il nesso di complementarità riscontrato nella logica compensativa sottostante allo schema ripartitorio ha permesso di identificare un piano complessivo di condotte collegate l’una all’altra da un’identità, sia relativamente all’oggetto (stessa finalità), sia per quanto riguarda i soggetti coinvolti.

In merito al calcolo della sanzione, va ricordato che il limite massimo edittale fissato dall’art. 15 della legge n° 287/1990 (c.d. legge antitrust) e chiarito nelle Linee Guida dell’Autorità è fissato al 10% del fatturato totale delle singole imprese coinvolte. Come è noto, al fine di determinare la sanzione effettiva nell’ambito di tale massimo edittale, le Linee Guida stabiliscono che debba essere presa in considerazione una percentuale fino al 30% del fatturato delle imprese partecipanti interessato dall’illecito accertato. Qualora si tratti di collusione in procedure di gare di appalti pubblici, le Linee Guida stabiliscono che questo valore corrisponde all’importo di aggiudicazione di ciascun lotto rientrante nel disegno ripartitorio cui le parti hanno partecipato e si sono aggiudicate. Inoltre, nel caso di specie, con una valutazione non frequente nella prassi decisionale dell’AGCM, nei restanti lotti non aggiudicati dalle parti si è preso in considerazione il valore dell’offerta effettuata dalla società che, secondo lo schema, sarebbe dovuta risultare aggiudicataria.

Nel mercato nazionale le società coinvolte ricoprono quote complessive superiori al 90% e sono risultate aggiudicatarie di ben 142 delle 161 gare analizzate. Tenendo in considerazione questi elementi – e che la fattispecie di manipolazione delle gare è considerata tra le violazioni più gravi del diritto antitrust – l’AGCM ha ritenuto necessario applicare in aggiunta la c.d. entry fee, ovvero considerare un ulteriore 15% della base di calcolo, verosimilmente in ragione del fatto che, avendo tenuto conto del valore complessivo dei lotti di volta in volta interessati (ciascuno relativo a forniture pluriennali), non aveva tenuto conto della lunga durata dell’infrazione che di regola opera come moltiplicatore del 100% dell’importo base per ogni anno di durata dell’infrazione. Vanno inoltre evidenziati alcuni ulteriori correttivi all’importo base, ovvero una maggiorazione del 10% come aggravante per le società identificate come promotrici dell’intesa, e una successiva riduzione del 5% come attenuante in favore di coloro che avevano adottato specifici programmi di compliance in linea con le best practice europee e nazionali. Sulla base di questi calcoli si è infine resa necessaria la riconduzione della sanzione al limite edittale del 10% per la sola G2 Misuratori S.r.l.. L’importo complessivo delle ammende inflitte risulta, quindi, pari a circa 10 milioni di euro.

Il caso in commento ricorda come le gare pubbliche rappresentino un’area di enforcement prioritario per l’AGCM – al netto della rilevanza penale di queste condotte – e che anche segnalazioni anonime da parte di dipendenti possono essere l’occasione per avviare un’istruttoria. Resta ora da vedere se le parti presenteranno ricorso avverso questo provvedimento e quali possano essere, in caso, le conseguenze dello stesso.

Niccolò Antoniazzi

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Intese e servizi di ossigenoterapia e ventiloterapia domiciliare – Il Consiglio di Stato accoglie i ricorsi in revocazione proposti da cinque società nel contesto del procedimento I792

Con le cinque sentenze non definitive pubblicate tra il 15 e il 17 febbraio, il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto i ricorsi in revocazione presentati da Medicair Italia S.r.l., Medigas S.r.l., Linde Medicale S.r.l., Sapio Life S.r.l. e Vivisol S.r.l., riscontrando plurimi errori materiali nelle precedenti sentenze dello stesso CdS oggetto di impugnazione straordinaria e rinviando la fase rescissoria e, quindi, la decisione finale sul merito all’esito dell’espletamento di ulteriori incombenti istruttori.

La vicenda processuale oggetto delle sentenze in commento origina dal provvedimento sanzionatorio adottato all’esito del procedimento n. I 792, con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva irrogato alle ricorrenti una sanzione complessiva pari a circa 47 milioni di euro, per aver posto in essere un’intesa orizzontale volta a falsare i procedimenti di indizione e il normale svolgimento delle gare per la fornitura di servizi di ossigenoterapia e ventiloterapia domiciliare indette da alcune stazioni appaltanti: So.Re.Sa S.p.A., Asl Milano 1 e ASUR Marche. Con specifico riferimento alla gara Milano 1, secondo l’AGCM le imprese coinvolte avevano concordato di non partecipare alle prime tre gare per i lotti in oggetto, per presentare in seguito un’identica offerta nel corso della quarta gara.

In sede di impugnativa, le società hanno criticato l’analisi dell’AGCM, contestandone l’apoditticità ed allegando ex multis la non remuneratività dei prezzi inizialmente proposti dalla stazione appaltante. In sede di impugnazione, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) – con una sentenza già oggetto di commento su questa Newsletter – ha accolto le censure proposte dalle ricorrenti ed annullato il provvedimento dell’AGCM, ritenendo insufficiente il corredo istruttorio fornito dall’AGCM. La sentenza del TAR è stata oggetto di successivo appello al CdS che ha annullato le conclusioni del giudice di prima istanza, confermando la decisione dell’AGCM. Il CdS in tale sede aveva riconosciuto la validità del compendio probatorio a supporto della decisione dell’AGCM, il quale – seppur suscettibile di diverse interpretazioni se interpretato in modo atomistico – risultava idoneo a dimostrare l’esistenza di una collusione fra le parti. Tra le ragioni a fondamento della propria decisione, il CdS segnalava – inter alia – l’insufficienza delle prove allegate dalle parti in ordine all’assenza di remuneratività dei prezzi iniziali, tra cui figuravano gli studi economici dedotti in giudizio dalle parti predisposti ex post che secondo il CdS si basano su “ipotesi discrezionali e per nulla scontate”.

Con le sentenze in commento, il CdS, chiamato a verificare se ci fosse stato un vero e proprio“...travisamento di fatto costitutivo di “quell’abbaglio dei sensi” che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa…(ex multis, Consiglio Stato, sez. IV, 07 settembre 2006, n. 5196) da parte del giudice di secondo grado ha ora invece ritenuto che nelle precedenti sentenze il giudicante fosse incorso effettivamente in un “abbaglio dei sensi” nella lettura degli atti, fondando le proprie pronunce su errati presupposti fattuali. Tra i diversi errori materiali rilevati dal CdS nelle sentenze impugnate, si segnala, tra l’altro, proprio l’errata conclusione del CdS in ordine alla prova della remuneratività dei prezzi inizialmente proposti in seno alla gara Milano 1. L’analisi del giudicante non avrebbe, infatti, tenuto conto di un documento – pur allegato da una delle ricorrenti nel corso del giudizio – predisposto dall’INAIL e inerente alla gestione dei rapporti di lavoro interni alla società, da cui si poteva inequivocabilmente dedurre la struttura dei costi interni alla stessa e la conseguente non profittabilità dei prezzi inizialmente proposti dall’ASL Milano 1. In sede di revocazione, il CdS ha osservato che “…sebbene la mancata valorizzazione di un documento presente in atti non possa dare luogo, di per sé, ad un errore revocatorio, nel caso in esame, alla stregua di una lettura complessiva della motivazione giudiziale, sembra si sia in presenza di un errore, anziché sulla rilevanza, sulla stessa esistenza del documento…”. A suffragio di questa conclusione, il CdS osserva che il giudicante non soltanto non ha menzionato l’esistenza di tale documento, ma si è limitato a richiamare due categorie di prove, ossia, quelle allegate dalle parti elaborate successivamente ai fatti e fondate su stime discrezionali e quelle allegate dall’AGCM relative alla documentazione coeva alle gare. Così statuendo, il giudicante risulta aver escluso l’esistenza di un’ulteriore categoria, “…riguardante (anziché stime discrezionali) dati oggettivi attestati da soggetti pubblici (INAIL) indifferenti alle parti (e, dunque, di certa attendibilità), di elaborazione successiva ai fatti di causa ma non predisposta in funzione del giudizio…”.

Con le sentenze in commento, il cui accoglimento risulta un fatto inusuale, il CdS evidenzia ancora una volta la necessità un approccio accurato e critico nella ricostruzione del compendio probatorio e della sua interpretazione a opera del giudicante. Resta da vedere quale sarà l’esito della fase rescissoria.

Alessandro Canosa

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Pratiche commerciali scorrette e trasporto aereo di linea – Il Consiglio di Stato conferma la legittimità del cambiamento delle policy sul bagaglio a mano da parte di Wizz Air

Con la sentenza n.879 del 22 gennaio 2022, il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto il ricorso presentato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) contro la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) che annullava la sanzione irrogata nei confronti della compagnia aerea low cost Wizz Air Hungary Airlines Ltd. (Wizzair) per pratiche commerciali scorrette in relazione alla policy adottata sui bagagli a mano. L’intera vicenda è stata oggetto di precedente commento in questa Newsletter al quale si rinvia per un ulteriore approfondimento.

I motivi di doglianza presentati dall’AGCM dinanzi al CdS miravano a sottolineare l’erroneità della ricostruzione della vicenda da parte del TAR, soprattutto alla luce della normativa europea e della disciplina del settore. L’AGCM sottolineava che la scorrettezza della pratica era stata determinata dalla mancanza di trasparenza riguardante la scorporazione dalla tariffa “basic” del prezzo del bagaglio a mano, andando ad eliminare une elemento essenziale e prevedibile del prezzo finale del servizio di trasporto aereo.

In maniera a diro il vero un po’ sorprendente, il punto critico e risolutivo dell’intera vicenda, secondo il CdS, risiederebbe nel chiarire la definizione di “bagaglio a mano” e, dunque, comprendere se il c.d. trolley bag (dalle dimensioni 55x40x23) rientri tra i servizi definiti come “inevitabili” che, ai sensi del Regolamento EU 1008/2008 (il Regolamento), devono essere necessariamente inclusi nella tariffa “basic”. Sul punto, tuttavia, il CdS ha ritenuto che il Regolamento non qualifichi alcun bagaglio come “indispensabile” nelle sue misure, limitandosi a indicare che nel prezzo finale devono necessariamente essere indicati “le tariffe aeree passeggeri o merci applicabili, nonché tutte le tasse, i diritti ed i supplementi inevitabili e prevedibili”.

Nemmeno la “sentenza Vueling” richiamata dall’AGCM a sostegno della sua tesi è stata risolutiva, limitandosi a statuire l’obbligo per i vettori aerei di trasportare non solo il passeggero ma anche i bagagli registrati dello stesso “…a condizione che tali bagagli posseggano determinati requisiti ragionevoli in termini di peso e dimensioni”.

Dal momento che nel provvedimento dell’AGCM non è stata fornita alcuna argomentazione volta a dimostrare l’eventuale “irragionevolezza” dei requisiti sopra menzionati richiesti da Wizzair, il cambiamento di policy sul bagaglio a mano della medesima Wizzair è apparso rispettoso della normativa. Stante le policy del vettore in questione, infatti, ad ogni passeggero sarebbe comunque garantita la possibilità di portare con sé in cabina un bagaglio a mano, sebbene di dimensioni ridotte (40x30x20 cm) e senza costi aggiuntivi.

La sentenza, dunque, se da un lato sembra eccentrica rispetto alla tipica analisi che viene effettuata al fine di verificare se si è effettivamente in presenza di una pratica commerciale scorretta, fornisce comunque un utile chiarimento in tema di cosa debba intendersi per supplemento “inevitabile e prevedibile” riconoscendo un certo margine di discrezionalità in capo al professionista.

Maria Spanò

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Appalti, concessioni e regolazione / Procedure ad evidenza pubblica e questioni di giurisdizione – Il TAR Lazio stabilisce la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di esecuzione del contratto

Con la sentenza n.1830/2022, pubblicata lo scorso 15 febbraio, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha statuito che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo una controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’atto con cui la Pubblica Amministrazione appaltante ha disposto la risoluzione di un contratto di appalto, laddove il giudizio di impugnazione riguardi la sola parte dell’atto con cui l’Amministrazione ha ritenuto non sussistente in capo all’aggiudicataria uno dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara.

La sentenza in esame rappresenta l’epilogo di un ricorso promosso da Bourelly Health Service S.r.l., operatore economico nel settore della prestazione di servizi di trasporto sanitario e soccorso stradale. Quest’ultima era risultata aggiudicataria della procedura di gara bandita dalla ASL Roma 2 per l’affidamento del servizio di trasporto di infermi di durata di un anno. Tuttavia, il 31 maggio 2019, la Regione Lazio ha inviato alla ricorrente una nota, con cui ha riscontrato il mancato rilascio, in favore della società in questione, dell’autorizzazione regionale richiesta per l’espletamento del servizio oggetto dell’appalto, diffidando quest’ultima dal proseguire tale attività.

L’ASL Roma 2, con la deliberazione di cui la ricorrente chiede l’annullamento, ha dichiarato la risoluzione del contratto di affidamento per una serie di motivi. In primo luogo, ha riscontrato l’inadempimento dell’affidatario a seguito di ritardi nell’evasione di richieste di trasporto. In secondo luogo, ha constatato il sequestro da parte dei Carabinieri di un farmaco ospedaliero rinvenuto a bordo di una delle autombulanze impiegate nel servizio, aspetto che evidenziava, agli occhi della stazione appaltante, l’inaffidabilità dell’operatore. Oltre a tali motivi, essenzialmente legati all’asserito inadempimento dell’affidatario, i quali avrebbero giustificato l’incardinamento della questione dinanzi al giudice ordinario, la stazione appaltante ha infine rinvenuto la carenza di due requisiti richiesti per la partecipazione alla gara, vale a dire: il mancato possesso dell’autorizzazione regionale necessaria all’espletamento all’interno della Regione Lazio del servizio di appalto; e la non disponibilità di una sede operativa sullo stesso territorio regionale.

La ricorrente ha proposto ricorso contro tale deliberazione esclusivamente con riguardo alla carenza dei requisiti di partecipazione, adducendo quali motivi l’eccesso di potere, la violazione dei principi di tassatività e previa conoscenza delle cause di esclusione di cui agli atti preliminari di gara e, da ultimo, l’inoperatività del principio di eterointegrazione della lex specialis.

A tal proposito, l’ASL Roma 2 ha eccepito il difetto di giurisdizione, ma con la sentenza in esame tale argomentazione è stata ritenuta infondata, in ragione del fatto che oggetto del giudizio non è la risoluzione di un contratto di appalto nella sua interezza ma unicamente la parte in cui l’Amministrazione ha ritenuto non sussistere in capo all’aggiudicataria un requisito di partecipazione.

Dopo aver affermato la sussistenza della giurisdizione in capo al giudice amministrativo in quanto lo scioglimento del vincolo contrattuale non sarebbe derivato da vizi propri del contratto o dal mancato adempimento di obbligazioni contrattuali, il TAR ha, tuttavia, respinto il ricordo in quanto infondato nel merito.

La sentenza in commento interessa soprattutto per i profili legati al tema del riparto di giurisdizione. Essa sancisce che per incardinare la controversia dinanzi al giudice ordinario non è sufficiente che questa riguardi l’esecuzione del contratto. Al contrario, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ogni qualvolta la risoluzione contrattuale sia da rinvenire nell’esercizio di un potere autoritativo della Pubblica Amministrazione.

Laura Pelagalli

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Legal news / Antitrust e settore digitech – La CMA approva gli impegni di Google relativi al progetto “Privacy Sandbox

Con la decisione pubblicata l’11 febbraio 2022 unitamente a un comunicato stampa, la Competition and Markets Authority (CMA) ha accettato gli impegni proposti da Google in relazione al progetto conosciuto come “Privacy Sandbox”, nei confronti del quale la CMA aveva aperto un procedimento istruttorio l’8 gennaio dello scorso anno.

Invero, Google non ha ancora pubblicato una proposta definitiva per Privacy Sandbox ma nelle sue intenzioni questo progetto dovrebbe portare alla disabilitazione dei cookies di terze parti dal browser Chrome e sul motore di ricerca del browser Chromium per sostituirli con una serie di strumenti per il targeting pubblicitario maggiormente rispettosi della privacy dei consumatori. Tuttavia, a seguito di uno studio di mercato sulla pubblicità nelle piattaforme online, la CMA ha individuato diverse criticità di natura concorrenziale tra cui il fatto che queste misure potrebbero ulteriormente rafforzare la posizione di Google sul mercato pubblicitario online e, correlativamente, diminuire la possibilità per gli editori online di generare introiti. Ciò, in futuro, potrebbe limitarli nella possibilità di produrre nuovi contenuti, riducendo in ultima analisi la scelta a disposizione dei consumatori.

Gli impegni accettati dalla CMA mostrano la ferma intenzione della CMA di accompagnare Google nella definizione delle modifiche che attuerà nell’ambito del progetto, in modo da raggiungere gli obiettivi di una migliore tutela della privacy degli utenti senza limitare la competizione nei mercati di riferimento. In particolare, Google si impegna in primis a tenere in considerazione una serie di fattori attraverso i quali progetterà, attuerà e valuterà il progetto, i c.d. “Criteri di Sviluppo e di Attuazione”, che riguardano:

  • l’impatto che le modifiche in esame avranno sulla privacy e il rispetto dei principi sulla protezione dei dati;
  • il mantenimento della competizione nella pubblicità digitale (soprattutto nei confronti dei concorrenti di Google);
  • l’impatto sulle esperienze di utilizzo degli utenti e il controllo che essi avranno sull’utilizzo dei loro dati; e, in ultimo,
  • il mantenimento della possibilità per gli editori online di generare introiti.

Inoltre, Google si è impegnata a mantenere una significativa trasparenza nei confronti delle terze parti che saranno interessate dalle modifiche le quali verranno consultate durante l’avanzamento del processo e avranno la possibilità di esprimere i loro pareri attraverso un sito appositamente realizzato. La CMA sarà coinvolta in tutte le fasi di sviluppo del progetto attraverso incontri e relazioni a scadenza regolare.

Ulteriori impegni assunti da Google riguardano l’esclusione di qualsiasi meccanismo di self-preferencing, ossia fare in modo che non ci sia scambio di informazioni tra Chrome e altre business units di Google tale da creare un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti delle diverse business units di Google, nonché l’impegno a non combinare i dati degli utenti provenienti da diverse fonti per proporre servizi pubblicitari online.

In ogni caso, quando Google raggiungerà una proposta definitiva del progetto, è previsto un termine sospensivo di 60 giorni prima che possa procedere con la sua attuazione e quindi con l’eliminazione dei cookies di terze parti. Tale termine sospensivo è stato previsto cosicché la CMA possa avere la possibilità, qualora vi fossero criticità non risolte, di portare avanti un’indagine e imporre, se necessario, delle misure provvisorie.

Sarà interessante osservare come si articoleranno in concreto tali impegni – peraltro assunti a livello globale – e quali saranno le soluzioni che porteranno all’abbandono definitivo da parte di Google dei cookies di terze parti, nel frattempo eliminati anche dal browser di Apple, Safari.

Alessia Delucchi

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