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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Private enforcement e settore del trasporto su gomma – Secondo l’Avvocato Generale anche gli autocarri destinati alla raccolta dei rifiuti sono inclusi nella decisione della Commissione del 2016 sulle presunte pratiche collusive nel settore della produzione di autocarri

Lo scorso 24 febbraio l’avvocato generale (AG) Laila Medina ha pubblicato le proprie conclusioni in relazione al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), con il quale il Tribunale del Land Hannover (Tribunale) nell’ambito di una azione di risarcimento danni c.d. follow-on ha chiesto un chiarimento circa l’interpretazione della decisione della Commissione Europea (Commissione) del 19 luglio 2016 – C(2016) 4673. Con tale decisione la Commissione aveva sanzionato alcune società produttrici di autocarri per presunte pratiche collusive volte a fissare i prezzi e trasferire sui clienti i costi aggiuntivi connessi alle nuove norme sulle emissioni.

Il rinvio origina da un’azione di risarcimento danni nella quale il distretto territoriale di Northeim ha citato la società Daimler, tra le sanzionate nella decisione della Commissione, dalla quale aveva acquistato due camion per la raccolta di rifiuti. Daimler sosteneva che detti camion non fossero ricompresi nell’ambito delle condotte oggetto dell’accertamento della Commissione, in quanto veicoli specializzati, e quindi appartenenti ad una tipologia diversa da quella degli autocarri ivi considerati.

Secondo il parere dell’AG se la Commissione avesse voluto escludere questo tipo di veicoli dall’ambito della decisione, sarebbe stata più esplicita, così come lo è stata per gli autocarri adibiti ad uso militare e per i veicoli provenienti dal mercato dell’usato. Il fatto che un veicolo specializzato possa contenere componenti diverse da quelle di un camion per un uso differente non può significare che non sia compreso nella decisione; i camion adibiti alla raccolta di rifiuti avrebbero, secondo l’AG, caratteristiche e componenti identici a quelle degli altri autocarri. In maniera piuttosto formalistica, l’AG ritiene che a nulla rileverebbe la richiesta di informazioni che la Commissione inviò nel 2015 alle società che sarebbero state poi sanzionate, con la quale essa indicava in maniera specifica che l’ambito della decisione non avrebbe coperto i veicoli specializzati (come i veicoli antincendio e quelli adibiti ad uso militare), perché tale documento sarebbe una mera misura investigativa il cui scopo è quello di permettere alla Commissione di ottenere informazioni che essa ritiene necessarie.

Posto che il giudice di rinvio non richiede alla CGUE un’interpretazione sul diritto dell’Unione, ma piuttosto un chiarimento circa l’ambito applicativo di una decisione già emessa dalla Commissione, la stessa attrice nel giudizio principale che ha originato il rinvio ritiene la questione sollevata irricevibile. Tuttavia, secondo il parere dell’AG, appare evidente che una risposta sulla questione sia necessaria al Tribunale per stabilire se l’azione risarcitoria sia fondata o meno.

Non resta che vedere quale sarà la posizione che verrà adottata dalla Corte.

Alessia Delucchi

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Concentrazioni e competenza esclusiva della Commissione – La Commissione Europea ordina all’Ungheria di ritirare il divieto posto all’acquisizione di AEGON da parte di Vienna Insurance Group

Con il comunicato stampa del 21 febbraio scorso, la Commissione europea (la Commissione) ha annunciato che il veto posto dall’Ungheria all’acquisizione delle filiali ungheresi del gruppo AEGON (Aegon) da parte di Wiener Versicherung Gruppe viola l’articolo 21 del Regolamento n. 139/2004 (EUMR), relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, il quale conferisce alla Commissione la competenza esclusiva per l’esame delle concentrazioni di dimensioni europea.

La vicenda ha avuto origine nel 2020, quando VIG aveva annunciato un’operazione da 830 milioni di euro (l’Operazione) per l’acquisizione delle attività di Aegon in Ungheria, Polonia, Romania e Turchia. Entrambe le società sono attive nel settore assicurativo fornendo numerosi servizi, come la gestione di fondi pensione e patrimoniale con annessi servizi accessori. Data la dimensione dell’Operazione e dei soggetti coinvolti, questa è stata notificata ai sensi del EUMR alla Commissione, e successivamente approvata il 12 agosto 2021 senza condizioni.

Tuttavia, ancora prima dell’approvazione della Commissione, il Governo ungherese aveva posto il veto all’Operazione sulla base di una legislazione di emergenza introdotta durante il periodo della pandemia da COVID-19. In base a tale legislazione, sono vietati gli investimenti diretti esteri che possano costituire una minaccia agli interessi legittimi dell’Ungheria.

La Commissione ha quindi aperto un’indagine il 29 ottobre 2021 e, nonostante le numerose interazioni con le autorità ungheresi, la stessa non avrebbe ottenuto i chiarimenti necessari volti a comprendere le giustificazioni sottese a tale veto. In particolare, sembrerebbe non essere stata fornita una sufficiente giustificazione per la minaccia – così come interpretata dall’Ungheria – che l’Operazione avrebbe rappresentato dato che le due società sono già ben consolidate nel mercato ungherese. La Commissione ha pertanto concluso che le autorità ungheresi avrebbero dovuto comunicare la loro intenzione di porre il veto prima della sua attuazione, come previsto dallo stesso articolo 21 dell’EUMR, il quale consente alla Commissione di tenere conto di eventuali osservazioni inviate dagli Stati membri a tutela degli interessi legittimi diversi da quelli presi in considerazione dall’EUMR.

La Commissione ha quindi ordinato all’Ungheria di rimuovere il veto all’Operazione. Se lo Stato Membro non ottempererà a questa decisione la Commissione sembra decisa ad avviare una procedura di infrazione per la violazione dell’art. 21 dell’EUMR.

Con tale decisione, dunque, la Commissione conferma la sua competenza esclusiva ad esaminare le concentrazioni di dimensione europea, rinviando comunque al sistema di dialogo e collaborazione che è alla base dell’Unione europea.

Maria Spanò

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Concentrazioni e risarcimento danni – Il Tribunale dell’UE ha respinto i ricorsi per il risarcimento dei danni connessi all’illegittimità della decisione della Commissione con cui era stata vietata l’acquisizione di TNT da parte di UPS

In data 23 febbraio 2022, con due sentenze relative alle cause connesse T-834/17 (la Prima Causa) e T-540/18 (la Seconda Causa), il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha respinto i ricorsi presentati dalle società United Parcel Services, Inc. (UPS) e ASL Aviation Holdings e ASL Airlines (collettivamente, le Società ASL) aventi ad oggetto le richieste di risarcimento dei danni economici subiti a causa della decisione (la Decisione) della Commissione europea (la Commissione) che dichiarava incompatibile con il mercato interno la concentrazione tra UPS e la società TNT Express NV (TNT), successivamente annullata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE).

La vicenda risale al 2013, quando la Commissione aveva dichiarato incompatibile con il mercato interno l’acquisizione di TNT da parte di UPS (per la quale UPS aveva offerto oltre 5 miliardi di euro) (l’Acquisizione), acquisto successivamente invece autorizzato a favore di FedEx Corp. (FedEx).

UPS aveva presentato ricorso contro la decisione della Commissione e nel 2019 la CGUE ha confermato l’annullamento della Decisione. Alla fine del 2017 UPS ha presentato un secondo ricorso contro la Commissione per il risarcimento dei danni e l’anno successivo hanno presentato una richiesta analoga anche le Società ASL, che avevano stipulato con TNT accordi che avrebbero dovuto diventare operativi dopo l’Acquisizione.

Con la Prima Causa, promossa da UPS, il Tribunale – pur avendo accertato una violazione qualificata dei diritti procedurali di quest’ultima società (i.e. la mancata comunicazione dell’ultima versione del modello econometrico utilizzato dalla Commissione per analizzare gli effetti dell’Acquisizione) – ha considerato tale violazione insufficiente a far scattare la responsabilità extracontrattuale dell’Unione europea. Ciò in quanto la UPS non ha né dimostrato né fornito gli elementi che consentirebbero al Tribunale di concludere, con la necessaria certezza, che tali errori fossero sufficienti a invalidare l’intera analisi economica dell’operazione tra l’UPS e TNT.

In aggiunta a quanto sopra UPS ha chiesto: (i) di essere ristorata dei costi sostenuti per partecipare alla procedura di controllo della nuova concentrazione notificata e poi approvata dalla Commissione tra TNT e FedEx; (ii) il risarcimento del pagamento dell’indennizzo che UPS aveva dovuto corrispondere a favore di TNT in base agli accordi contrattuali, previsto in caso di risoluzione dell’accordo di acquisizione; (iii) di essere risarcita per il lucro cessante derivante dall’impossibilità di completare l’Acquisizione.

In relazione al primo punto, il Tribunale ha affermato che UPS non poteva chiedere di essere risarcita per le spese sostenute in base ad una propria libera scelta (ossia i costi derivanti dalla partecipazione di UPS alla procedura afferente all’operazione di concentrazione notificata tra FedEx e TNT). Con un ragionamento poco convincente, in relazione al secondo punto, il Tribunale ha ritenuto che, poiché il pagamento dell’indennizzo per la risoluzione degli accordi a favore di TNT si basava su un obbligo contrattuale derivante dai termini dell’accordo di fusione tra UPS e TNT, le illegittimità della Decisione non potevano essere considerate come la causa determinante del pagamento di detto indennizzo alla TNT.

Infine, per quanto riguarda il presunto lucro cessante subito da UPS, con un ragionamento che lascia perplessi, il Tribunale ha osservato che non si può presumere che, in assenza della violazione dei diritti procedurali di UPS, tale concentrazione sarebbe stata certamente dichiarata compatibile con il mercato interno. D’altronde, UPS non avrebbe dimostrato né fornito alcun elemento in tal senso. Inoltre, sempre secondo il Tribunale il fatto che UPS abbia rinunciato all’operazione di concentrazione non appena è stata annunciata la decisione controversa ha avuto l’effetto di interrompere qualsiasi nesso causale diretto tra l’illegittimità riscontrata e il danno lamentato, anche se non si comprende cosa avrebbe potuto fare diversamente UPS stante il divieto sancito dalla Commissione.

La Seconda Causa, invece, ha riguardato il ricorso per risarcimento danni presentato dalla società ASL per il lucro cessante derivante dal veto alla Concentrazione da parte della Commissione. Al riguardo, il Tribunale rileva che le Società ASL non avrebbero potuto invocare a fondamento della propria domanda di risarcimento la violazione dei diritti procedurali subiti da UPS nell’ambito della procedura di controllo dell’Acquisizione. La richiesta è respinta in radice dal Tribunale in quanto le Società ASL avevano liberamente scelto di non partecipare a tale procedura e quindi nell’ambito di questa non avrebbero potuto invocare una presunta violazione dei loro diritti da parte della Commissione.

Resta ora da vedere se la Corte di Giustizia verrà coinvolta da UPS e/o dalle Società ASL per giungere alla conclusione di questa lunga vicenda che dura da quasi dieci anni.

Mila Filomena Crispino

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Diritto della concorrenza Italia / Intese e rete unica nazionale della banda ultra-larga – L’AGCM chiude con impegni il procedimento sugli accordi per la costituzione di FiberCop e sul relativo progetto di coinvestimento

Con la decisione del 24 febbraio scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso il procedimento relativo agli accordi di accesso all’infrastruttura di FiberCop accettando gli impegni proposti da Telecom Italia S.p.A. (TIM), Fastweb S.p.A. (Fastweb), FiberCop S.p.A. (FiberCop), Tiscali Italia S.p.A. (Tiscali), Teemo Bidco S.r.l. (Teemo) e KKR & Co. Inc. (KKR).

La vicenda origina dalla decisione di TIM, Fastweb e KKR annunciata nell’agosto 2020 di costituire una joint venture (per l’appunto Fibercop) allo scopo di dispiegare in Italia una rete secondaria (ossia il tratto che connette gli armadi stradali e la sede dell’utente finale) a banda ultra-larga attraverso l’impiego di tecnologie ottiche Fiber to the Home. A questo fine FiberCop può far leva sulla rete secondaria di TIM e sulla infrastruttura in fibra già sviluppata da Flash Fiber, la joint-venture partecipata da TIM (all’80%) e Fastweb (al 20%), entrambe confluite in FiberCop. Poiché la rete di FiberCop è una rete esclusivamente secondaria, per potersi collegare a quest’ultima gli operatori alternativi (ossia gli operatori che non detengono la rete di accesso) hanno necessità di un collegamento tra la centrale e l’armadio stradale. Tale necessità può essere soddisfatta alternativamente: (i) con la costruzione o acquisizione a qualsiasi titolo della rete primaria (ossia il tratto di collegamento a monte della rete secondaria, che collega la centrale agli armadi stradali); ovvero (ii) acquistando un c.d. servizio attivo (VULA H o Bitstream NGA), cioè facendo gestire la comunicazione a un altro soggetto che dispone di un collegamento con l’armadietto stradale. In questa seconda ipotesi, l’operatore alternativo presenta evidentemente una minore infrastrutturazione, in quanto di fatto acquista e rivende i servizi di telecomunicazione operati da un altro soggetto.

In data 29 gennaio 2021, TIM ha presentato all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) e contestualmente reso pubblica un’offerta di coinvestimento ai sensi dell’art. 76 della Direttiva 2018/1972 (Codice europeo delle comunicazioni elettroniche) al fine di aprire a tutti gli operatori del mercato la possibilità di finanziare il progetto infrastrutturale di FiberCop. Questi ultimi potevano scegliere di partecipare al coinvestimento: (i) assumendo il vincolo - della durata di dieci anni - all’acquisto di un minimo garantito pay per use di accessi, accollandosi dunque un impegno finanziario interamente predefinito ex ante. Per ciascun comune, viene individuato un vincolo minimo di linee oggetto di acquisto pari al 10% delle unità immobiliari; (ii) mediante l’acquisto immediato di infrastrutture dedicate che, a fronte di questo contributo iniziale, avrebbe garantito al coinvestitore per i successivi venti anni l’accesso a prezzi agevolati ai servizi di utilizzo della rete.

Nel corso del procedimento, la cui apertura è già stata oggetto di commento su questa Newsletter, l’AGCM ha espresso la preoccupazione che, così come configurati, gli accordi relativi a FiberCop avrebbero ridotto la concorrenza nei mercati all’ingrosso delle telecomunicazioni senza determinare una reale infrastrutturazione degli operatori alternativi. In virtù degli accordi oggetto di istruttoria, infatti, gli operatori alternativi sarebbero stati disincentivati a investire sull’infrastrutturazione primaria, finendo per acquistare i servizi attivi forniti da TIM ed assumendo di fatto il ruolo di rivenditori dei servizi di quest’ultima. In particolare, l’AGCM ha ritenuto che rischi concorrenziali potessero sorgere, inter alia, da: (i) i vincoli di acquisto di lunga durata dei servizi erogati da TIM-FiberCop. La soglia di acquisto minimo del 10% di cui sopra, secondo quanto emerso nel market test, avrebbe infatti bloccato e reso non contendibile il 16% della domanda di mercato (ossia approssimativamente la domanda espressa congiuntamente da Fastweb, Vodafone e Windtre); (ii) il riconoscimento di prezzi agevolati per i coinvestitori e la strutturazione variabile del prezzo di accesso alla fibra secondaria in ragione delle quantità acquistate; nonché (iii) la sottrazione al controllo di Fastweb delle decisioni di infrastrutturazione di Flash Fiber.

Gli impegni imposti dall’AGCM a conclusione del procedimento vanno dunque nella direzione di ridurre le barriere all’acquisizione dei clienti nel mercato all’ingrosso delle telecomunicazioni fisse e di favorire una piena concorrenza infrastrutturale. Tra gli impegni si segnalano: (i) l’obbligo per FiberCop di procedere a una celere infrastrutturazione nelle aree indicate, al fine di rafforzare il rapporto tra gli obblighi di acquisto degli operatori alternativi partecipanti al coinvestimento e la realizzazione delle opere di infrastrutturazione di FiberCop; (ii) la riduzione del vincolo minimo di acquisto di cui sopra dal 10% all’8%; (iii) la riduzione della scala geografica di adesione al progetto; (iv) la risoluzione del contratto di coinvestimento basato su servizi attivi tra Tiscali e TIM e l’impegno da parte di Tiscali, nel caso di futura adesione al coinvestimento, a limitare l’ammontare di linee minime garantite, mantenendo la propria domanda contendibile; (v) la riduzione dell’incidenza dei minimi garantiti in capo a Fastweb e l’obbligo incondizionato da parte di quest’ultima di procedere all’infrastrutturazione di tratti di rete primaria per una copertura pari ad almeno il [30-80%] della copertura potenziale di FiberCop.

La complessità del procedimento in esame – che ha coinvolto a più riprese e con diversi ruoli sia l’AGCM che l’AGCOM e che si è in parte intersecato con gli impegni già imposti dall’AGCM in seno al procedimento I799 relativo a Flash Fiber – costituisce il riflesso della natura strategica del progetto infrastrutturale sottostante. In questo senso, stante la necessità di tutelare lo sviluppo di un pluralismo sul piano infrastrutturale senza ostacolare allo stesso tempo il tentativo degli operatori di mercato di cooperare nello sviluppo della rete secondaria a banda ultra-larga (scenario, quest’ultimo, espressamente previsto nel già citato Codice europeo delle comunicazioni elettroniche), non sorprende che il procedimento abbia trovato il proprio esito naturale nell’adozione di impegni.

Alessandro Canosa

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Legal news / OECD Competition Trends 2022 – L’OCSE pubblica la terza edizione del report in cui analizza i nuovi trend in materia antitrust

Lo scorso 23 febbraio, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha pubblicato l’OECD Competition Trends 2022, un report relativo alle principali tendenze per 73 giurisdizioni OCSE e non OCSE in materia di cartelli, abusi e concentrazioni, sulla base dei dati raccolti tra il 2015 e il 2020.

Rispetto al rapporto dell’anno precedente, questa nuova edizione include un anno in più di dati per il 2020 e 17 giurisdizioni aggiuntive, per cui il database dispone ora di sei anni di dati per 73 giurisdizioni, che coprono il 91% del PIL globale e il 73% della popolazione mondiale. Si registra un significativo aumento delle risorse delle autorità della concorrenza di tutto il mondo, non solo in termini di bilancio (con una media pari a oltre 21 milioni nel 2020) ma anche di personale. Solo nel 2020, sono state emesse 450 decisioni sui cartelli e 220 in materia di abuso di posizione dominante.

Il rapporto considera il periodo 2015-2019 e l’anno 2020 separatamente, ove necessario, per far risaltare l'impatto potenziale del COVID-19. Gli interventi dei governi, volti a fronteggiare l’emergenza provocata dal dilagare della pandemia, sono iniziati prevalentemente nel marzo 2020, variando in gravità e durata tra le varie giurisdizioni. In particolare, tutte le giurisdizioni che rientrano nel database CompStats dell’OCSE hanno subito una riduzione del PIL nel 2020. Nonostante la pandemia abbia esercitato un impatto anche su alcune variabili di enforcement della concorrenza, alcune autorità si sono adattate efficacemente. Il Covid-19, infatti, ha indotto diverse autorità della concorrenza a perfezionare la loro capacità digitale, ad esempio sviluppando pratiche per adattare le procedure convenzionali, come i dawn raids. Questi ultimi hanno inevitabilmente esperito un calo significativo nel 2020, a causa delle restrizioni volte al contenimento della crisi sanitaria.

Per ciò che concerne i cartelli, durante l’arco temporale considerato dal report, il numero medio di decisioni in materia è diminuito nella maggior parte delle regioni, così come i casi individuati attraverso strumenti di rilevamento proattivi, quali le indagini d’ufficio. Nel complesso, si è registrato un calo nella percentuale di casi di cartello conclusi con un accordo o con un’offerta di impegni.

Le giurisdizioni di tutto il mondo si sono impegnate nell'individuazione dei cartelli ricorrendo ad una varietà di poteri investigativi e strumenti di rilevamento, tra i quali si annoverano i programmi di clemenza, che incentivano i cartellisti a denunciare la loro condotta in cambio di sanzioni ridotte. Sebbene quest’ultimo sia uno strumento chiave per individuare i cartelli, il totale delle domande di clemenza è diminuito nel periodo 2015-2020.

Rispetto ai casi di cartello, quelli di abuso di posizione dominante sono meno numerosi e altamente concentrati in poche giurisdizioni. Le indagini e le decisioni in materia sono rimaste stabili nell’area Asiatico-Pacifica e sono aumentate in America, mentre hanno subito un calo in Europa. Inoltre, quasi il 22% di tutte le indagini per abuso di posizione dominante sono terminate attraverso accordi ed impegni, il cui uso è più frequente nelle giurisdizioni OCSE che non OCSE.

Un esame delle concentrazioni è una componente chiave per le autorità della concorrenza nel database CompStats, dato che quasi tutte le giurisdizioni hanno in vigore un regime per l’analisi delle operazioni di concentrazioni e la maggior parte di esse adotta un sistema obbligatorio di notifica preventiva, esige una c.d. filing fee per la notifica, usa il fatturato come soglia di notifica delle concentrazioni, adotta un regime a due fasi (a seconda della problematicità dell’operazione) e offre una procedura semplificata per i casi semplici. Nel complesso, l’attività di controllo è aumentata nel periodo dal 2015 al 2019, ma è diminuita significativamente nel 2020, anno in cui il 93,6% delle concentrazioni è stato autorizzato nella fase I senza rimedi.

Per ciò che attiene alle sanzioni, esse sono aumentate nel periodo 2015-2018, per poi diminuire progressivamente nel 2019 e nel 2020. Nonostante i recenti sviluppi nella disponibilità e nell’uso di sanzioni contro gli individui, quelle rivolte alle imprese sono ancora largamente la forma più usata di sanzione in ipotesi di cartello. Tuttavia, nelle giurisdizioni che ammettono le sanzioni contro le persone fisiche, queste hanno rappresentato il 27% delle sanzioni comminate nei casi di cartello nel periodo che va dal 2015 al 2020.

Infine, quasi tutte le autorità della concorrenza nel periodo considerato hanno eseguito studi di mercato, che pur variando per intensità e durata, permettono di identificare proattivamente se sussistono elementi di preoccupazione in materia di concorrenza all’interno di un mercato o in un settore specifico o di migliorare la conoscenza in un particolare ambito.

In conclusione, l’analisi dell’OCSE offre una comparazione tra aree geografiche e tra le diverse tendenze che si sono sviluppate nel tempo, consentendo di confrontare i dati delle diverse giurisdizioni e i trend della più ampia comunità globale della concorrenza.

Laura Pelagalli

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