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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Europa / Abuso di posizione dominante e settore dell’e-commerce – La Commissione europea accetta gli impegni di Amazon riguardanti l’uso dei dati dei venditori e la parità di accesso alla Buy Box e ad Amazon Prime

Il 20 dicembre scorso la Commissione europea (la Commissione) ha annunciato di aver accettato, rendendoli vincolanti, gli impegni proposti da Amazon riguardanti, da un lato, l’uso dei dati non pubblici dei venditori e, dall’altro, i criteri per l’accesso da parte dei venditori alla Buy Box e al programma Prime. Si concludono quindi senza accertamento dell’illecito (e senza sanzioni) i procedimenti della Commissione nei confronti di Amazon.

Nella comunicazione delle risultanze istruttorie del novembre 2020 relativa alla prima indagine avviata dalla Commissione nel luglio 2019, si prospettava infatti un abuso di posizione dominante da parte di Amazon nei mercati francese e tedesco di fornitura di servizi di marketplace nella misura in cui, visto il duplice ruolo di Amazon (gestore della piattaforma di vendita utilizzata da venditori indipendenti e, al tempo stesso, venditore di propri prodotti in concorrenza con i primi), si riteneva che l’uso da parte di Amazon dei dati non pubblici relativi ai venditori che operano sulla piattaforma, al fine di calibrare le proprie decisioni in materia di vendita al dettaglio, potesse essere considerato un comportamento idoneo ad alterare indebitamente la concorrenza sulla piattaforma.

Parallelamente, sempre nel novembre 2020, la Commissione avviava una seconda indagine volta a verificare se i criteri applicati da Amazon nello Spazio economico europeo (ad eccezione dell’Italia) per selezionare il venditore che ha accesso alla Buy Box (ora Offer Display) – ossia il riquadro attraverso il quale l’utente può acquistare il prodotto dal venditore “selezionato” da Amazon come predefinito – e/o al programma Prime (ossia un servizio a pagamento che permette ai clienti di ricevere i prodotti in un tempo di consegna ristretto e usufruire di piattaforme come Amazon music e Prime video) determinassero un trattamento preferenziale delle vendite al dettaglio di Amazon o dei venditori che utilizzano i servizi logistici e di consegna di Amazon.

Rispetto a tale secondo filone, è bene chiarire che gli impegni resi vincolanti dalla Commissione non trovano applicazione in Italia in quanto la decisione della Commissione non copre il territorio italiano. Invero, quando ha avviato questa istruttoria la Commissione si è premurata di non interferire con il caso italiano che, all’epoca, era in dirittura di arrivo: il provvedimento adottato nel novembre 2021 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (analizzato in questa Newsletter), aveva affrontato i medesimi temi individuando un abuso di posizione dominante da parte di Amazon (sanzionata per oltre 1 miliardo di euro) e aveva posto in capo alla stessa una serie di obblighi positivi volti a ripristinare condizioni concorrenziali.

Tornando agli impegni accettati dalla Commissione, in primo luogo, Amazon si è impegnata a non utilizzare i dati non pubblici relativi ai venditori nello svolgimento delle proprie attività di vendita al dettaglio in concorrenza con i venditori concorrenti e, in accordo con la Commissione, Amazon dovrà attuare delle policy e meccanismi interni che garantiscano il non utilizzo di tali dati.

Circa la Buy Box, Amazon si è obbligata per un periodo di sette anni non soltanto ad utilizzare criteri non discriminatori, obiettivi e verificabili per la scelta dell’offerta vincitrice (c.d. Featured Offer), ma anche a mostrare insieme alla stessa – in modo equivalente quanto a informazioni ed esperienza di acquisto per il consumatore – almeno una seconda offerta sufficientemente differenziata dalla prima (in termini di prezzo e/o consegna) e proveniente da un venditore diverso, prospettandosi anche una revisione delle modalità di presentazione di tali offerte così da attirare l’attenzione del consumatore.

Quanto al programma Prime, Amazon si è obbligata, anche qui per un periodo di sette anni, a stabilire condizioni e criteri non discriminatori di ammissione – e trattamento – dei venditori, indipendentemente dal vettore utilizzato. A ciò si accompagna l’impegno a garantire che i venditori Prime possano scegliere liberamente i vettori utilizzati, negoziando direttamente con questi ultimi le condizioni commerciali. Inoltre, Amazon si è impegnata a non utilizzare per propri servizi logistici i dati relativi ai vettori indipendenti ricavati attraverso Prime e a permettere a tali vettori indipendenti di contattare in via diretta i propri clienti Amazon e di vedere protetti i propri dati. A ciò si accompagna l’impegno a informare i venditori della possibilità di passare a vettori indipendenti senza perdere l’accesso al programma Prime e, più in generale, delle nuove opportunità derivanti dagli impegni resi vincolanti dalla Commissione.

Per vigilare sul rispetto di tali impegni, viene prevista la nomina di un monitoring trustee con il quale Amazon è tenuta a cooperare, anche informandolo delle modifiche nei processi di classificazione e selezione relativi al programma Prime e di presentazione delle offerte al consumatore. Inoltre, viene stabilito un meccanismo che permette a venditori e vettori di presentare reclami al monitoring trustee in caso di sospetto di mancato rispetto degli impegni da parte di Amazon.

Non rimane che attendere per valutare i risultati dell’attuazione degli impegni adottati da Amazon, anche alla luce della entrata in vigore del Digital Markets Act e degli attesi vincoli che questa normativa porrà in capo ai c.d. gatekeepers, tra cui è più che verosimile attendersi che Amazon sarà incluso.

Francesca Incaprera Huerta

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Abuso di posizione dominante e settore digitale – La Commissione europea contesta a Meta di aver posto in essere un abuso di posizione dominante a beneficio di Facebook Marketplace

Con un comunicato stampa pubblicato lo scorso 19 dicembre 2022 (il Comunicato), la Commissione europea (la Commissione) ha reso noto di aver inviato alla società Meta (Meta) la comunicazione delle risultanze istruttorie – il c.d. Statement of Objections (SO) – relativa ad un presunto abuso di posizione dominante posto in essere da Meta a beneficio del proprio servizio di annunci classificati Facebook Marketplace (Facebook Marketplace).

Dal Comunicato si evince che, ad avviso della Commissione, Meta avrebbe abusato della propria posizione dominante in due distinti mercati rilevanti: (i) il mercato dei social network per uso personale (di dimensione europea), e (ii) il mercato degli annunci pubblicitari online di tipo display sui social media (territorialmente limitato a singoli Stati membri). Ciò sarebbe avvenuto mediante alcune condotte dirette a favorire Facebook Marketplace consistenti, in particolare:

(i) in relazione al primo mercato, nell’abbinamento tra Facebook Marketplace e il social network Facebook, il quale, secondo la Commissione, garantirebbe a Meta un impareggiabile vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti di Facebook Marketplace, nella misura in cui solo quest’ultimo avrebbe un immediato e automatico accesso a tutti gli utenti del social network); nonché

(ii) con riferimento al secondo mercato interessato, nell’imposizione di condizioni economiche deteriori e sleali nei confronti dei concorrenti di Facebook Marketplace e che operano sui servizi di Meta quali Facebook e Instagram. Secondo la Commissione, infatti, i termini e le condizioni che permettono a Meta di utilizzare i dati ricavati dalle attività dei concorrenti di Facebook Marketplace a beneficio di quest’ultimo risulterebbero “ingiustificate, sproporzionate e non necessarie” al fine di fornire i servizi di annunci pubblicitari online di tipo display sulle piattaforme di Meta.

Il caso in esame è un’ulteriore conferma del grado di attenzione che le autorità di concorrenza, e la Commissione in primis, pongono sulle condotte delle principali piattaforme. Non resta che vedere quale sarà l’esito del procedimento, e se quanto prospettato dalla Commissione nell’SO verrà confermato o meno nella decisione finale.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Concentrazioni e settore informatico – La Commissione ha avviato l’istruttoria in merito alla proposta acquisizione di VMware da parte di Broadcom

Con il breve comunicato stampa pubblicato il 20 dicembre scorso, la Commissione Europea (la Commissione) ha reso noto di aver avviato un’istruttoria formale (cd. “fase 2”) per valutare i potenziali effetti anti-competitivi della prospettata acquisizione del controllo esclusivo di VMware Inc. (VMware), società produttrice di componenti software, da parte di Broadcom Inc. (Broadcom), società produttrice di una vasta gamma di semiconduttori e componenti hardware che ha recentemente intrapreso un significativo processo di espansione anche nel segmento software tramite le acquisizioni delle società CA Technology Inc. e Symantec Enterprise.

Per quanto di interesse in questa sede, va evidenziato che tra i prodotti offerti da Broadcom figurano schede di interfaccia di rete, fibre channel host bus adapters (FC HBA) e adattatori di archiviazione, mentre WMware offre, tra l’altro, software di virtualizzazione che garantiscono l’interoperabilità tra i prodotti appena descritti. Alla luce di una valutazione preliminare, la Commissione ritiene che la concentrazione tra le due società statunitensi possa produrre effetti anti-competitivi nel mercato per la fornitura di schede di interfaccia di rete, FC HBA e adattatori di archiviazione. Infatti, a seguito dell’operazione, Broadcom sarebbe in grado non solo di (i) ridurre il livello di interoperabilità tra i software di virtualizzazione di VMware e le componenti hardware dei propri concorrenti ma anche di (ii) precludere l’accesso a tali software a danno dei medesimi concorrenti.

Tuttavia, le preoccupazioni concorrenziali non si esaurirebbero qui. La Commissione, infatti, ha individuato anche un potenziale danno al processo innovativo nel settore dei software in quanto Broadcom, al fine di tutelare i propri prodotti, sarebbe incentivata ad ostacolare la partecipazione di VMware al già avviato Progetto Monterey, ovvero un progetto di sviluppo di innovative schede di interfaccia di rete smart che vede coinvolti anche altri importanti produttori come NVIDIA, Intel e AMD Pensando.

Infine, la Commissione rileva che, dato l’elevato grado di complementarità tra questi prodotti, Broadcom sarebbe in grado di influenzare negativamente il gioco della concorrenza anche combinando i propri prodotti software con quelli di VMware, di fatto eliminando dal mercato l’offerta dei software di virtualizzazione di VMware come un prodotto a sé stante, riducendo di conseguenza la varietà nel mercato e precludendo i produttori di software concorrenti.

Nonostante siano già state ottenute le necessarie autorizzazioni in Brasile, Canada e Sud Africa, la concentrazione oggetto di commento, che rappresenta una delle più importanti operazioni degli ultimi anni nel settore tech, ha sollevato analoghe preoccupazioni anche in capo alla Competition and Markets Authority (la CMA) nel Regno Unito e alla Federal Trade Commission (l’FTC) negli Stati Uniti. Resta quindi da vedere se le parti riusciranno a negoziare un pacchetto di impegni adeguato a rimuovere le preoccupazioni qui descritte in tutte le giurisdizioni coinvolte.

Niccolò Antoniazzi

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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e settore della telefonia mobile – Il faro dell’AGCM si accende sul possibile abuso di posizione dominante posto in essere da Telecom Italia nel contesto della gara Consip per la telefonia mobile alle pubbliche amministrazioni

Con il provvedimento pubblicato lo scorso 19 dicembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha reso noto di aver aperto un procedimento nei confronti di Telecom Italia S.p.A. (TI) per presunto abuso di posizione dominante nel contesto della gara Consip bandita lo scorso 31 ottobre 2022 per la fornitura dei servizi di telefonia mobile alle pubbliche amministrazioni. Il fulcro della questione ruota intorno alla possibilità che TI abbia limitato la partecipazione dei propri concorrenti alla gara tramite la mancata ostensione a questi ultimi di mappe sulla copertura della rete di TI, che sarebbero state essenziali per la compilazione del bando di gara, e quindi ai fini della loro partecipazione alla procedura competitiva.

Il procedimento trae le mosse da una segnalazione presentata da Fastweb S.p.A. (Fastweb), società che – tra le altre attività – oggi opera nel mercato dei servizi di telefonia mobile come operatore “ibrido”, ossia in virtù sia di due accordi di roaming con TI e WindTre S.p.A (per il 2G, 3G, 4G, LTE e 5G), sia per il tramite della propria rete 5G.

In particolare, il disciplinare di gara richiedeva ai partecipanti di presentare un piano di copertura che constava di una tabella in cui indicare, per ciascun comune italiano, le percentuali del territorio coperte da tecnologie 2G, 3G, 4G e 4G+, nonché il territorio complessivo cui rapportare le percentuali indicate. La copertura indicata avrebbe potuto essere garantita sia tramite l’utilizzo di infrastrutture di rete proprie, sia attraverso accordi con altri operatori di rete mobile. La gara Consip sarebbe stata aggiudicata all’operatore che avesse presentato l’offerta economicamente più "vantaggiosa", ma gli offerenti dovevano anche dimostrare di avere un certo livello di accesso alla rete per la fornitura dei servizi di telefonia mobile sul territorio italiano. Fastweb aveva quindi presentato richiesta sia a TI, sia a WindTre per accedere alle rispettive mappe. Mentre WindTre ha dato prontamente seguito alla richiesta, TI avrebbe negato l’accesso a tali informazioni, opponendo ragioni di riservatezza commerciale dei dati e proponendo soluzioni alternative tra cui l’ostensione delle percentuali di copertura a livello comunale tramite firma di un accordo di confidenzialità ovvero la fornitura delle mappe direttamente alla stazione appaltante in caso di aggiudicazione da parte di Fastweb.

In tale contesto, Fastweb ha presentato una segnalazione all’AGCM contestualmente ad una richiesta di imposizione di misure cautelari prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte di gara (21 dicembre scorso), sostenendo che sarebbe stato impossibile presentare un’offerta competitiva senza avere accesso alle mappe di copertura di TI.

L’AGCM, nella propria ricostruzione preliminare, ha indicato che TI detiene una posizione dominante sul mercato dei servizi di telefonia mobile alle pubbliche amministrazioni, circoscritto alla gara Consip. TI invero risulta essersi aggiudicata le ultime cinque edizioni della medesima gara, elemento che è stato ritenuto idoneo a conferire a TI un vantaggio competitivo determinante dal punto di vista conoscitivo delle esigenze della stazione appaltante. A causa dell’urgenza per lo spiegamento delle dinamiche concorrenziali in sede di gara, l’AGCM ha contestualmente aperto un procedimento per valutare l’imposizione di eventuali misure cautelari, ossia – verosimilmente – ordinare a TI di dare a Fastweb accesso ai dati richiesti. Ad oggi, tale decisione non è stata ancora resa pubblica anche se è verosimile pensare che ci sia stato in parallelo un differimento delle tempistiche di gara.

Il procedimento in commento ribadisce la particolare attenzione dell’AGCM rispetto alle condotte delle imprese nel contesto delle gare di appalto. Negli ultimi anni, si è assistito ad un consistente numero di indagini aperte in tale ambito sia per condotte unilaterali, sia in relazione ad intese restrittive della concorrenza. E un simile trend è stato ulteriormente incentivato dall’attuazione in Italia della c.d. direttiva ECN+, secondo cui quando la condotta può anche configurare un reato – ad esempio, proprio in ambito di gare pubbliche – i direttori (o ex direttori), amministratori o altro personale coinvolto in condotte anticoncorrenziali non saranno ritenuti responsabili penalmente qualora siano soddisfatte le condizioni di immunità previste dal programma di clemenza. Inoltre, il procedimento in commento si inserisce a giusto titolo nel contesto del sempre maggior utilizzo da parte dell’AGCM di misure cautelari (ove necessario per ragioni di particolare urgenza), strumento che ha vissuto recentemente un revival sia a livello nazionale – in materia antitrust come anche di tutela del consumatore – sia europeo.

Cecilia Carli

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Intese e settore dei finanziamenti auto – L’AGCM annulla la decisione anche nei confronti di Daimler e Mercedes ad esito del procedimento I811

Con la delibera di esercizio dei poteri di autotutela adottata il 30 novembre scorso (ma resa nota in data 19 dicembre), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha revocato nei confronti delle società Daimler AG (Daimler) e Mercedes Benz Financial Services Italia S.p.A. (Mercedes) la decisione conclusiva del procedimento I811, con cui l’AGCM aveva precedentemente accertato l’esistenza di un cartello tra le società finanziarie facenti parte di gruppi automobilistici (c.d. finanziarie captive) che Daimler e Mercedes aveva contribuito a rivelare in qualità di leniency applicant.

Come noto, con la decisione oggetto di revoca in autotutela, l’AGCM aveva inizialmente sanzionato per un totale di circa 678 milioni di euro le finanziarie captive dei principali gruppi automobilistici attivi in Italia, con la sola eccezione di Mercedes e della sua controllante Daimler. Queste ultime avevano beneficiato della non imposizione della sanzione in ragione del contributo fornito in qualità di leniency applicant. A seguito della decisione, le società sanzionate – e quindi non Daimler e Mercedes – procedevano alla sua impugnazione davanti al TAR Lazio. Il giudice di primo grado, con una serie di sentenze già oggetto di commento su questa Newsletter – accoglieva i ricorsi sia sulla base di censure sostanziali (quali un’errata definizione dei mercati rilevanti), sia sulla base di vizi procedurali (consistenti nell’eccessivo lasso di tempo intercorso tra la presentazione della domanda di leniency e l’effettivo avvio dell’istruttoria). L’annullamento veniva successivamente confermato anche in sede di appello davanti al Consiglio di Stato – per il cui commento si rinvia a un precedente intervento su questa Newsletter – in accoglimento del secondo e assorbente vizio di natura procedurale rilevato già dal giudice di primo grado.

A valle degli annullamenti pronunciati dal giudice amministrativo, Daimler e Mercedes – in quanto collaboratori nell’ambito del programma di clemenza – erano rimaste le uniche destinatarie della decisione dell’AGCM. Con la delibera in commento, l’AGCM prende atto di tale esito paradossalmente deteriore per il leniency applicant rispetto alle altre società oggetto di indagine, osservando che “….tale circostanza, ove non rimossa, si presterebbe a pregiudicare l’efficace funzionamento del programma nazionale di clemenza […] tassello imprescindibile al fine di assicurare una effettiva tutela delle dinamiche concorrenziali” che “risulta condizionato alla possibilità di garantire alle imprese che hanno deciso di collaborare con l’Autorità per la scoperta dei cartelli che la loro scelta di collaborazione non le ponga in una posizione peggiore di quella delle imprese che non hanno collaborato”.

Accertata quindi la sussistenza di un interesse pubblico alla salvaguardia degli incentivi insiti nei programmi di clemenza, l’AGCM ne ha deliberato la revoca nei confronti di Daimler e Mercedes “…in ragione del solo vizio di carattere procedurale rappresentato dalla tardività dell’avvio dell’istruttoria e salvo il merito della valutazione relativa all’accertamento della sussistenza dell’intesa…”.

Con la singolare decisione in commento, l’AGCM provvede dunque a tutelare l’efficienza del proprio programma di clemenza, segnalando al mercato un chiaro favor nei confronti delle imprese denuncianti. Stride tuttavia con questo orientamento la scelta dell’Autorità di inserire un riferimento equivoco circa la asserita salvezza delle valutazioni di merito contenute nella decisione oggetto di annullamento, la cui finalità rimane difficile da comprendere.

Alessandro Canosa

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