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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 16 gennaio 2023

Diritto della concorrenza – Europa / Intese e settore bancario – La CGUE ha parzialmente accolto il ricorso presentato da HSBC, pur confermandone la partecipazione al cartello

Lo scorso 12 gennaio, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha parzialmente accolto, con la sentenza resa nel caso C-883/19 (la Sentenza), l’appello proposto da tre società appartenenti al gruppo HSBC (le Ricorrenti) avverso la decisione del Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) del 24 gennaio 2019 relativa alla decisione AT.39914 (la Decisione). Con questa Decisione, la Commissione Europea (la Commissione) aveva condannato le stesse società, insieme ad altre banche, per un’intesa restrittiva “per oggetto” nel settore finanziario.

La vicenda traeva origine da una domanda di clemenza con la quale la Commissione veniva informata dell’esistenza di un cartello (che si sarebbe articolato in continui scambi di informazioni e accordi di natura bilaterale tra le parti coinvolte) tra i principali gruppi bancari europei con lo scopo di manipolare il mercato dei derivati sui tassi di interesse in euro collegati al c.d. “Euribor” (Euro Interbank Offered Rate) e/o all’EONIA (Euro Over-Night Index Average).

Da tale segnalazione scaturivano due sub-procedimenti distinti: il primo, nel quale alcuni dei gruppi partecipanti all’intesa avevano raggiunto un accordo di transazione (c.d. Settlement) con la Commissione, e così una riduzione della sanzione a fronte di una collaborazione nel procedimento e la non contestazione degli accertamenti compiuti; ed un secondo, relativo alle banche non aderenti al Settlement e conclusosi con la Decisione. In sede di impugnazione avverso la Decisione, il Tribunale da un lato aveva sostanzialmente confermato la correttezza dell’accertamento di una restrizione per oggetto in violazione dell’articolo 101(1) TFUE, ma aveva annullato la sanzione per mancanza di motivazione.

Nonostante l’annullamento della sanzione le Ricorrenti proponevano un appello, fondato su sei motivi, due dei quali sono stati accolti, ossia il motivo relativo alla presunzione di innocenza e quello relativo alla mancata valutazione degli effetti pro-competitivi dell’intesa.

In merito al primo (che è il vero fulcro della Sentenza), con riferimento alla presunzione di innocenza le Ricorrenti sostengono che, adottando un procedimento ibrido scaglionato (i.e. in quanto la decisione di Settlement e la decisione o le decisioni ordinarie non sono adottate contemporaneamente, bensì scaglionate nel tempo), la Commissione ha irrimediabilmente pregiudicato la loro posizione prima della concreta adozione della Decisione, violando in tal modo il principio della presunzione di innocenza. Nella decisione di Settlement, anche se non indirizzata a HSBC, si è constatato che HSBC aveva partecipato a pratiche bilaterali anti-competitive con un’altra banca. Secondo le Ricorrenti, tale constatazione non poteva essere confutata nell’ambito del successivo procedimento (ordinario), il quale interessava solo le parti che non avevano aderito al Settlement, ivi incluse le Ricorrenti.

Ancora nell’ambito del primo motivo di appello, le Ricorrenti sostenevano altresì che la Commissione ha violato il loro diritto a una buona amministrazione, non avendo agito in modo imparziale nella valutazione della loro situazione. A tal proposito, nel 2015, il Mediatore europeo aveva constatato che il Commissario per la concorrenza dell’epoca aveva reso, nel 2012 e nel 2014, dichiarazioni pubbliche che potevano ragionevolmente lasciar intendere che la Commissione avesse già deciso il risultato dell’indagine in corso.

Le Ricorrenti hanno quindi sostenuto che, nel valutare gli argomenti dedotti in riferimento alla presunzione di innocenza e al diritto a una buona amministrazione, il Tribunale aveva adottato un criterio giuridico erroneo, imponendo loro di fornire la prova che, in assenza della violazione, la decisione sarebbe stata diversa (applicando la c.d. dottrina Suiker Unie).

A tal proposito, dopo aver richiamato la piena legittimità dei procedimenti ibridi scaglionati (in quanto rispondenti ad una precisa ratio di velocizzazione dei procedimenti amministrativi che verrebbe del tutto frustrata se, invece, alla Commissione si imponesse di procedere in parallelo con la procedura di transazione e con quella ordinaria,), la CGUE concorda comunque con le Ricorrenti, ritenendo che il Tribunale non abbia opportunamente verificato se il Settlement o le dichiarazioni contestate del Commissario contenessero una implicita o esplicita presunzione di colpevolezza nei confronti delle imprese non partecipanti alla transazione. In secondo luogo, la CGUE ritiene che il Tribunale non abbia opportunamente rilevato come nel caso di specie, riguardante vizi procedurali più gravi di quelli relativi contemplati nel caso Suiker Unie, per soddisfare l’onere della prova che incombe in prima battuta sulle imprese, le stesse devono provare la semplice “possibilità” che la decisione finale, assente la violazione procedurale, sarebbe stata diversa.

In merito al terzo motivo, secondo le Ricorrenti il Tribunale avrebbe erroneamente affermato che il carattere favorevole alla concorrenza di alcune discussioni tra i partecipanti al cartello poteva essere preso in considerazione sostanzialmente solo nell’ambito di una valutazione ai sensi dell’articolo 101(3) TFUE. A tal proposito, la CGUE ribadisce (aderendo alla critica delle Ricorrenti) che tale posizione del Tribunale è contraddetta dalla giurisprudenza recente sul punto. In particolare, come precisato nella sentenza UK Generics, qualora le parti di un accordo facciano valere effetti favorevoli alla concorrenza promananti da quest’ultimo, tali effetti devono, in quanto elementi del contesto di tale accordo, essere debitamente presi in considerazione già ai fini della sua qualificazione come “restrizione per oggetto” ai sensi dell’articolo 101(1) TFUE, nei limiti in cui possono rimettere in discussione la valutazione globale del grado sufficientemente dannoso della pratica collusiva di cui trattasi.

Nonostante l’accoglimento dei motivi di cui sopra, la CGUE ha confermato la sussistenza della restrizione per oggetto. I due punti suddetti sono nondimeno di rilievo tale da rendere la Sentenza un punto di riferimento per i casi futuri di cartello e settlement.

Mila Filomena Crispino

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Abuso di posizione dominante e settore ferroviario – La CGUE respinge l’appello presentato dalla società nazionale delle ferrovie lituane, confermando un approccio più severo in materia di abusi nei confronti di monopolisti legali

Con la sentenza pubblicata lo scorso 12 gennaio (la Sentenza), la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) – confermando l’approccio espresso dall’Avvocato Generale Rantos nelle sue conclusioni del 7 luglio 2022 (su cui è stato scritto in questa Newsletter) – ha respinto integralmente l’appello presentato da Lietuvos geležinkeliai AB (Lietuvos), la società nazionale delle ferrovie della Lituania. Lietuvos ha impugnato la sentenza (anch’essa oggetto di commento su questa Newsletter) con cui il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) aveva confermato come quest’ultima avesse effettivamente abusato della propria posizione di dominanza nel mercato lituano del trasporto ferroviario di merci, così come precedentemente accertato dalla Commissione europea (la Commissione) nella decisione del 2 ottobre 2017 (la Decisione).

È utile brevemente ripercorrere i passaggi fattuali che hanno interessato la presente vicenda. Con un accordo firmato nel 1999 la Lietuvos garantiva alla società L’Orlen Lietuva AB (L’Orlen) (congiuntamente con Lietuvos, le Parti) – società lituana specializzata nella raffinazione di petrolio grezzo e nella distribuzione dei relativi prodotti – la fornitura di servizi di trasporto su rotaia dei suddetti prodotti sull’intero territorio lituano tramite la rete ferroviaria gestita da Lietuvos stessa. A seguito di una controversia intercorsa tra le Parti nel 2008, L’Orlen ha optato per una migrazione dei propri prodotti verso la vicina Lettonia e ha così deciso, a tal fine, di avvalersi dei servizi di trasporto forniti dalla società Latvijas dzelzceļš (LDZ), ossia la società nazionale delle ferrovie lettoni. Tuttavia, L’Orlen per potere trasportare i propri prodotti dalla Lituania alla Lettonia per fruire dei servizi offerti a condizioni più economiche da LDZ, avrebbe comunque dovuto continuare ad utilizzare una (seppur limitata) porzione di linea ferroviaria sita in Lituania e sotto il controllo di Lietuvos. Lietuvos, pochi mesi dopo che L’Orlen aveva preso contatti con LDZ, a valle di asseriti accertamenti che avevano individuato una deformazione su una decina di metri sui binari interessati, ha sospeso il traffico su tale tratto della linea e, circa un mese dopo, ha proceduto allo smantellamento fisico di 19 km della stessa senza mai avviare i lavori di manutenzione. A causa di tale smantellamento, L’Orlen non ha quindi potuto godere dei servizi offerti da LDZ. Tale condotta è stata oggetto di istruttoria da parte della Commissione, la quale aveva inflitto alla Lietuvos una sanzione di circa 28 milioni di euro per abuso di posizione dominante.

Lietuvos, in data 14 dicembre 2017, aveva quindi presentato ricorso avverso tale decisione dinnanzi al Tribunale, il quale tuttavia lo ha rigettato con la sentenza del 18 novembre riconoscendo la bontà della ricostruzione fattuale e giuridica operata dalla Commissione (benché abbia ridotto l’ammontare della sanzione imposta). Lietuvos ha successivamente presentato appello dinnanzi alla CGUE, basando le proprie argomentazioni su quattro motivi di appello: i primi tre atti a contestare la sussistenza di un abuso di posizione dominante; il quarto, invece, volto a contestare l’ammenda inflitta. Il focus del presente commento è sui primi due motivi relativi alla contestata esistenza di una condotta abusiva.

In particolare, con il primo motivo, Lietuvos aveva sostenuto che il Tribunale avrebbe erroneamente mancato di applicare i criteri indicati dalla stessa CGUE nel caso Bronner, i quali regolano la c.d. essential facility doctrine, ossia che il rifiuto di concedere accesso a una infrastruttura essenziale costituisce una violazione dell’articolo 102 TFUE se a) detto rifiuto è idoneo ad eliminare qualsiasi concorrenza nel mercato rilevante, b) viene apposto in assenza di un’oggettiva giustificazione e c) tale accesso all’infrastruttura risulta indispensabile per l’esercizio dell’attività economica dell’impresa richiedente. Sul punto, la Sentenza – accogliendo quanto affermato dal Tribunale – sostiene che i succitati criteri non potessero trovare applicazione in relazione alla condotta posta in essere da Lietuvos, date le diverse premesse fattuali. Infatti, la CGUE ha indicato come il ragionamento di cui alla sentenza Bronner, pensata per società dominanti che non solo possiedono l’infrastruttura interessata ma l’hanno costruita con le proprie risorse e per i fini delle proprie attività commerciali, non trova applicazione in relazione a fattispecie – come quella in esame – in cui la dominanza derivi da un monopolio legale accompagnato da un obbligo di fornitura nei confronti dell’impresa dominante. Inoltre, la CGUE ha sottolineato come la distruzione di parte dell’infrastruttura effettuata da Lietuvos non costituisce un “problema di accesso” ai sensi della sentenza Bronner, in quanto tale condotta implica il “sacrificio di un attivo, con relativi costi”: in seguito alla distruzione l’infrastruttura diviene inevitabilmente inutilizzabile non solo per il terzo richiedente ma anche per la stessa impresa dominante.

Per quanto qui rileva, Lietuvos sostiene altresì che il Tribunale avrebbe fondato la qualifica “abusiva” della condotta esclusivamente su due elementi cumulativi di per sé insufficienti e relativi al fatto che tale rimozione era stata effettuata: a)precipitosamente”; e b)senza [che Lietuvos avesse] ottenuto preliminarmente i fondi necessari” alla sostituzione del tratto interessato. La CGUE ha rigettato tale motivo sottolineando come il Tribunale – e quindi la Commissione – avesse accertato la natura abusiva della pratica in questione prendendo in esame una pluralità di elementi ulteriori ai due indicati da Lietuvos, come ad esempio il fatto che Lietuvos era a conoscenza del progetto di L’Orlen di reindirizzare le proprie attività verso la Lettonia e così avvalersi dei servizi di LDZ; che la rimozione sia stata effettuata senza previamente ottenere i fondi necessari alla sostituzione o adottare le normali misure preparatorie alla ricostruzione; che la rimozione del binario era in contrasto con la prassi corrente del settore; nonché del fatto che Lietuvos era perfettamente al corrente del rischio di perdere ogni attività di trasporto dei prodotti di L’Orlen in caso di ricostruzione del binario e che pertanto si era adoperata per convincere il governo lituano a non ricostruire il binario.

La CGUE ha posto così la parola fine alla vicenda iniziata ormai quasi sei anni fa, riconoscendo l’abusività della condotta posta in essere da Lietuvos. La Sentenza, in particolare, dovrà essere tenuta in considerazione con riguardo all’affermazione dell’inapplicabilità dei criteri Bronner nel caso di società dominanti che godono di un monopolio legale e che usufruiscono di una cd. essential facility in relazione a cui esiste un obbligo normativo di garanzia di accesso.

Luca Feltrin

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Diritto della concorrenza - Italia / Bid-rigging e settore autostradale – L’AGCM sanziona Itinera, Sintexcal e Impresa Bacchi per un’intesa volta alla ripartizione dei lotti di gara di appalto per la manutenzione delle pavimentazioni autostradali

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) con il provvedimento n. 30419 ha sanzionato Itinera S.p.A., Sintexcal S.p.A. (e, in solido con questa, la sua controllante totalitaria General Beton Triveneta S.p.A.) e Impresa Bacchi S.r.l. (le Società) per un totale complessivo di circa 3 milioni di euro per aver posto in essere, in violazione dell’articolo 101 TFUE, un’intesa volta alla ripartizione dei lotti della Gara Servizi 1/2019 per la manutenzione ordinaria delle pavimentazioni stradali sull’intera rete in concessione di Milano Serravalle.

L’avvio dell’istruttoria nel maggio 2021 – commentato in questa Newsletter – era stato provocato dalla segnalazione della stazione appaltante, la società Milano Serravalle Milano Tangenziali S.p.A., la quale prospettava l’esistenza di un’intesa posta in essere da parte dei principali operatori attivi nel Nord Italia nell’offerta dei servizi di manutenzione delle pavimentazioni autostradali in virtù, in particolare, dell’avvenuta presentazione di offerte in maniera “anomala”, laddove ciascuna aveva offerto per uno soltanto dei tre lotti su cui si articolava la gara (con un valore d’asta di circa 9,8 milioni di euro cada uno). Sul punto, l’AGCM ha rilevato che le società avrebbero potuto, sotto un profilo tecnico logistico ed economico, presentare offerte per almeno due differenti lotti di gara, come accaduto per gare analoghe degli anni 2013 e 2016, nonostante il bando di gara prevedesse l’aggiudicazione, per ciascuna impresa, di al massimo un lotto sui tre messi in gara, con ciò aumentando le probabilità di risultare vittoriosa almeno in uno di essi (in assenza di un accordo collusivo). L’accertamento dell’infrazione, tuttavia, non si è fondato solo su tali aspetti endogeni, in quanto l’AGCM ha provato plurime forme di contatto fra le società volte alla definizione della strategia anticoncorrenziale, fra le quali scambi di e-mail e di documenti e incontri bilaterali o trilaterali.

L’AGCM ha anche osservato che, in virtù della qualificazione della gara come di “servizi” e non di “lavori”, e degli stringenti requisiti di partecipazione, le società erano consapevoli di essere i principali e più qualificati e diretti potenziali concorrenti nella Gara Servizi n. 1/2019.

Quanto al requisito tecnico della gara circa la disponibilità di un doppio impianto di produzione di conglomerato bituminoso, le tre imprese hanno indicato, in due casi su tre, di utilizzare oltre al proprio/propri impianti, anche uno o più degli impianti delle altre due società, nonostante avessero almeno due impianti propri. Tali dichiarazioni di disponibilità sono state considerate dall’AGCM un’anomalia in quanto non necessarie ai fini di soddisfare i requisiti di partecipazione e, in sé, non economicamente razionali.

Inoltre, l’AGCM ha contestato la sovrapponibilità, o comunque analogia, delle offerte tecniche presentate dalle tre società e relative alla sostituzione delle pavimentazioni autostradali, caratterizzate da una composizione della squadra e dei mezzi minima. In un contesto competitivo, invece – secondo l’AGCM – le imprese avrebbero potuto presentare offerte non solo differenziate tra loro ma anche migliorative con un impatto, ad esempio, sulla durata dei cantieri dei lavori autostradali.

Il punto focale sul quale si è concentrata l’AGCM nell’accertare l’esistenza dell’intesa è stato costituito dal sistema di subappalti reciproci aventi ad oggetto la fresatura e la stesura del conglomerato. Alla presentazione dell’offerta le società erano chiamate ad indicare l’eventuale terna di subappaltatori i quali, una volta indicati, non avrebbe potuto presentare un’offerta per il lotto di gara in questione. L’indicazione da parte di ciascuna delle tre società delle altre due come subappaltatori, con la conseguenza che queste ultime non avrebbero potuto partecipare alle gare per i relativi lotti per i quali erano state indicate, avrebbe consacrato in maniera definitiva (e, si ritiene, decisamente ingenua) la stabilità dell’intesa, così evitando deviazioni rispetto allo schema anticoncorrenziale, in un panorama ove, invece, sarebbe stato possibile indicare valide e numerose imprese terze alternative alle società sanzionate.

Ulteriori anomalie riscontrate dall’AGCM a supporto dell’esistenza dell’intesa sono state la collaborazione tra le imprese ai fini della verifica con la stazione appaltante del soddisfacimento dei requisiti di partecipazione alla gara, nonché la concertazione delle condotte da tenersi nei confronti della stazione appaltante, anche successivamente alla presentazione delle offerte, con riguardo alle giustificazioni di non anomalia delle offerte e ai costi della sicurezza.

L’AGCM ha, dunque, sanzionato Itinera S.p.A., Sintexcal S.p.A. (e, in solido con questa, la sua controllante totalitaria General Beton Triveneta S.p.A.) per circa 1 milione e Impresa Bacchi S.r.l. per circa 500 mila euro. Tale intesa avrebbe permesso alle società di presentare dei ribassi economici significativamente inferiori (nel range 20-26%) rispetto a quelli offerti dalle stesse in gare precedenti e analoghe (del 2013 e 2016).

Il provvedimento conferma inter alia la rilevanza del sistema di subappalti reciproci nella valutazione antitrust della condotta di imprese partecipanti a gare pubbliche – sempre una delle principali priorità dell’AGCM – e la particolare attenzione che quindi deve essere rivolta nei confronti dell’uso (o abuso) di tali strumenti.

Francesca Incaprera Huerta

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore energetico – A seguito di un’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato su ricorso, l’AGCM torna sul tema della variazione delle condizioni economiche di fornitura di elettricità e gas

Con sette provvedimenti adottati il 29 dicembre scorso nei confronti di altrettante società attive nel mercato della fornitura di energia elettrica e gas – Edison Energia S.p.A. (Edison), Enel Energia S.p.A. (Enel), Eni Plenitude S.p.A. (Eni), Acea Energia S.p.A. (Acea), Engie Italia S.p.A. (Engie), Hera Comm S.p.A. (Hera) e A2A Energia S.p.A. (A2A) (congiuntamente, le Imprese) – l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) è parzialmente tornata sui propri passi rispetto ai provvedimenti adottati il 12 dicembre scorso nei confronti delle medesime Imprese (già oggetto di commento in questa Newsletter), recependo le indicazioni rese dal Consiglio di Stato (il CdS) in tema di interpretazione del dettato normativo di cui all’articolo 3 del decreto-legge n. 115 del 9 agosto 2022 (il D.L. Aiuti-bis), convertito con la l. 142/2022.

In via introduttiva, è opportuno rammentare che tra novembre e dicembre dello scorso anno l’AGCM era intervenuta in due occasioni – nei confronti delle Imprese e, prima ancora, di altre quattro società, tra cui IREN Mercato S.p.A. (IREN) – adottando in totale undici provvedimenti cautelari. In questi provvedimenti l’AGCM aveva ritenuto che alcune condotte adottate da tali operatori, secondo l’AGCM consistenti sostanzialmente nell’applicazione di nuove e più onerose condizioni economiche di fornitura (CEF) a contratti di fornitura al dettaglio di energia elettrica e gas, a seguito dell’eccezionale contesto di crisi energetica che ha colpito principalmente i paesi dell’Unione Europea, violassero la disciplina dettata dal D.L. Aiuti-bis e conseguentemente costituissero pratiche commerciali scorrette.

La posizione cautelare espressa dall’AGCM si fondava sul fatto che, secondo la stessa, l’intervento normativo da ultimo richiamato perseguirebbe l’obiettivo ultimo di sterilizzare – fino al 30 aprile 2023 – “qualsiasi clausola contrattuale che permetta la variazione delle CEF da parte degli operatori nel corso del rapporto” in qualsiasi modo essa venga denominata o presentata nelle condizioni generali del contratto di fornitura e “per tutti i contratti per i quali non [sia] ancora trascorso il periodo di validità e che non preved[a]no un regime di automatica evoluzione delle condizioni economiche di fornitura” (la Ratio del D.L. Aiuti-bis).

Di diverso avviso si è, tuttavia, mostrato il CdS, che con l’ordinanza n. 5986 pubblicata il 22 dicembre 2022 (l’Ordinanza) ha offerto una interpretazione più restrittiva del D.L. Aiuti-bis. Secondo il CdS, infatti, l’articolo 3 del D.L. Aiuti-bis, menzionando unicamente le clausole relative alle “modificazioni unilaterali dei contratti”, dev’essere interpretato nel senso di riferirsi esclusivamente allo “ius variandi per contratti che non siano scaduti e non ai rinnovi contrattuali conseguenti a scadenze concordate dalle parti […] e non sembra poter incidere su rinnovi contrattuali predeterminati nell’esercizio della libertà negoziale”. Pertanto, conclude il CdS, occorre distinguere due ipotesi: da un lato, (i) contratti a tempo determinato, o contratti che prevedano una scadenza predeterminata delle condizioni economiche in data anteriore al 30 aprile 2023, ai quali non si applica il divieto contenuto nel D.L. Aiuti-bis, e, dall’altro, (ii) contratti “a tempo indeterminato, che non prevedono scadenza nella parte economica o la prevedano in data posteriore al 30 aprile 2023”, rispetto ai quali, viceversa, trova piena applicazione il “congelamento” disposto dal D.L. Aiuti-bis.

Preso atto delle indicazioni contenute nell’Ordinanza, l’AGCM ha dunque proceduto ad una revisione dei provvedimenti cautelari adottati nei confronti delle Imprese.

In particolare, l’AGCM ha revocato interamente i provvedimenti cautelari adottati nei confronti di Hera e A2A, dal momento che dagli elementi raccolti nel corso della breve istruttoria condotta finora emerge che le comunicazioni inviate alla propria clientela da tali società annunciavano variazioni di CEF effettivamente in scadenza di contratti a tempo indeterminato, le quali, dunque, ai sensi dell’Ordinanza del CdS, devono ritenersi non ricomprese nel divieto di cui al D.L. Aiuti-bis.

Nei confronti di Edison, Eni, Enel, Acea ed Engie, viceversa, e rinviando per una più approfondita analisi dei profili di criticità delle rispettive condotte al prima menzionato contributo pubblicato nella presente Newsletter, l’AGCM ha solo parzialmente revocato i provvedimenti del 12 dicembre scorso, confermandoli nella parte in cui essi, “….avuto riguardo ai contratti a tempo indeterminato per i quali non era specificamente individuata o comunque predeterminabile una scadenza delle stesse…..” (i Contratti Interessati), ordinano alle società di:

(i) sospendere provvisoriamente ogni comunicazione e applicazione della variazione o del rinnovo delle CEF asseritamente in scadenza dei Contratti Interessati, confermando le CEF previgenti fino all’effettiva scadenza (ovvero fino al 30 aprile 2023) e comunicando ciò individualmente ai consumatori destinatari da tali comunicazioni con la medesima forma; nonché di

(ii) informare individualmente – e con la medesima forma – tutti gli utenti dei Contratti Interessati che hanno esercitato il diritto di recesso della possibilità di ritornare in fornitura alle precedenti condizioni economiche fino alla loro effettiva scadenza ovvero fino al 30 aprile 2023.

Come già osservato a suo tempo, i provvedimenti in parola intervengono in maniera significativa sulla libertà contrattuale delle imprese. Tuttavia, appare sicuramente significativa l’enunciazione contenuta nell’Ordinanza del CdS secondo cui è inammissibile una interpretazione estensiva della disposizione nazionale limitativa della libertà di mercato a situazioni non espressamente previste nella stessa. Un risultato interpretativo, questo, già auspicato in questa sede, e che sembra peraltro condiviso dal legislatore nazionale, il quale, con il decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (c.d. decreto milleproroghe), da un lato ha esteso l’applicazione del divieto contenuto nel D.L. Aiuti-bis fino al 30 giugno 2023, e, dall’altro, ha chiarito che tale divieto “…non si applica alle clausole contrattuali che consentono all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di aggiornare le condizioni economiche contrattuali alla scadenza delle stesse, nel rispetto dei termini di preavviso contrattualmente previsti e fermo restando il diritto di recesso della controparte…”. Non resta ora che attendere l’esito dei procedimenti amministrativi dinanzi all’AGCM e delle impugnazioni attualmente pendenti dinanzi ai giudici amministrativi.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Golden Power / Golden Power e sindacato giurisdizionale – Il Consiglio di Stato affronta per la prima volta il tema dei limiti alla discrezionalità del Consiglio dei Ministri nell’adozione di un veto Golden Power

Con la sentenza del 9 gennaio 2023 n. 289, il Consiglio di Stato (il CdS) ha respinto l’appello proposto dalla società Psp Verisem Luxemburg Holding S.à r.l. (Verisem) avverso la sentenza del 13 aprile 2022 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR Lazio) aveva confermato la legittimità del provvedimento di veto emanato dal Governo italiano ai sensi della normativa sui poteri speciali golden power.

La vicenda originava dalla notifica al Governo italiano del progetto di acquisizione dell’intero capitale sociale di una società olandese del gruppo Verisem e delle sue controllate, comprese diverse società italiane, da parte della società svizzera Syngenta Crop Protection AG (Syngenta) facente capo ad uno dei più importanti gruppi al mondo nel settore agricolo, controllato in ultima istanza da una multinazionale cinese, ChemChina. Nel corso dell’istruttoria davanti alle amministrazioni preposte (tra cui il Ministero dell’Agricoltura e il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza della Repubblica), emergeva la non criticità dell’operazione ma solo dell’opportunità di predisporre un’attività di monitoraggio a valle del perfezionamento dell’acquisizione, ovvero, eventualmente, di adottare specifiche prescrizioni nei confronti degli operatori coinvolti. A sorpresa, nonostante l’assenza di una proposta in tal senso, il Consiglio dei Ministri (il CdM) deliberava invece l’adozione di un provvedimento di totale divieto dell’operazione.

Il provvedimento di veto veniva quindi impugnato davanti al giudice amministrativo lamentando, per quanto qui interessa, il difetto delle condizioni per l’esercizio dei poteri speciali in ragione della (a) mancata identificazione di asset di natura strategica ceduti nell’ambito dell’operazione, (b) mancata formulazione di una motivazione rafforzata che giustifichi il discostamento dai pareri emessi nel corso dell’istruttoria, (c) violazione del principio di legalità per la generica e indeterminata definizione dell’ambito applicativo dei poteri speciali da parte della normativa secondaria, (d) violazione del principio di proporzionalità rispetto alla possibilità di autorizzare l’operazione con prescrizioni in luogo di vietarla completamente nonché (e) violazione dei principi eurounitari relativi alla libera circolazione dei capitali e del diritto di stabilimento.

In sede di appello, a valle del rigetto nel ricorso da parte del TAR Lazio, il CdS ha confermato l’impostazione della sentenza di primo grado, cogliendo però l’occasione per definire in modo sistematico la natura e la portata dei poteri speciali del Governo. A tale riguardo, il CdS ha rilevato, in primo luogo, che il CdM non è vincolato dalle valutazioni espresse in sede di istruttoria in quanto esso è l’esclusivo titolare del golden power, potere dal carattere largamente discrezionale “se non apertamente politic(o)”. Pertanto, i margini per invocare un difetto di istruttoria sarebbero limitati solo ai macroscopici casi in cui la valutazione del CdM sia fondata su elementi di fatto smentiti dalle risultanze istruttorie.

In secondo luogo, si è ritenuto che la nozione di “interesse nazionale”, che costituisce l’elemento fondamentale per definire la rilevanza strategica di un asset e di un’operazione, e dunque il perimetro in cui i poteri speciali possono essere esercitati, discende direttamente dalla valutazione discrezionale effettuata, caso per caso, dal Governo piuttosto che una nozione predeterminata dalla legge. Invero, il golden power viene ritenuto uno strumento per salvaguardare e perseguire tutti i vari e mutevoli obiettivi della politica nazionale, sia sotto il profilo interno (ad esempio con riferimento all’impatto economico dell’operazione), sia sotto il profilo esterno, con rifermento al posizionamento geopolitico del paese sul piano internazionale. Ne consegue che i poteri speciali possono essere impiegati non solo per proteggere interessi nazionali, specificatamente individuati, ma anche per perseguire istanze di politica estera, come quello di evitare di favorire Stati esteri ostili o portatori di interessi “concorrenti” rispetto a quelli sostenuti dall’Italia e dai suoi alleati. In tale costruzione, il collegamento dell’acquirente con un operatore cinese, ritenuto a sua volta indirettamente espressione del Governo della Repubblica Popolare Cinese, è stato ritenuto un elemento sufficiente per giustificare l’esercizio del potere di veto.

In linea con quanto sopra, è stato ritenuto ragionevole e proporzionale un veto totale sull’operazione, in luogo dell’imposizione di prescrizioni, stante – con una valutazione che non sembra tenere conto della realtà della situazione, laddove l’acquirente era una multinazionale con società attive sul territorio italiano e certamente non coperte da alcuna immunità statuale - l’asserita impossibilità da parte delle Autorità italiane di poterne verificare il rispetto, data la riconducibilità dell’acquirente al Governo cinese.

Infine, la affermata incompatibilità con il diritto comunitario non è stata oggetto di una posizione articolata ma è stata dismessa facendo riferimento al Regolamento UE n° 452/2019 che, prevedendo un meccanismo di coordinamento tra gli Stati membri in materia di controllo degli investimenti stranieri diretti (tra i quali rientra la disciplina dei Golden Powers), è stato interpretato come la dimostrazione della compatibilità della normativa interna con il diritto unionale.

In conclusione, la pronuncia in commento ha sancito la natura sostanzialmente politica delle valutazioni compiute dal CdM nell’ambito del golden power e l’amplissima deferenza ad esse riservata in sede giurisdizionale; ne consegue, come ritenuto dal CdS, la legittimità di un divieto di un’operazione di acquisizione di asset anche privi in quanto tali di natura strategica o sensibile, in ragione della sola presenza nella catena societaria dell’acquirente di un soggetto riconducibile ad un Governo straniero e non alleato con la Repubblica Italiana; ciò, proprio in quanto la natura strategica di un’operazione può discendere non solo dalle caratteristiche dell’asset e dell’impresa target ma anche, “se non soprattutto”, dalla natura dei soggetti coinvolti nell’acquisto. Una sentenza che, in questi termini, rischia di legittimare valutazione arbitrarie della politica che nulla possono avere a che fare con interessi nazionali strategici e, in quanto tale, fa ritenere non risolta la questione circa la compatibilità di una siffatta interpretazione con il diritto europeo. Inoltre, stante la pervasività di questa normativa che, nella sostanza, si applica alla maggior parte delle operazioni, e il suo impatto sulla libertà di iniziativa economica, è verosimile ritenere che la giustiziabilità delle decisioni in materia di Golden Powers sarà oggetto di altre valutazioni nel prossimo futuro.

Enrico Mantovani

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