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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 19 giugno 2023
Diritto della concorrenza – Europa / Abusi di posizione dominante e settore digitale – La Commissione europea ha inviato uno statement of objections a Google avente ad oggetto alcune condotte qualificate come self-preferencing
Il 14 giugno 2023 la Commissione europea (la Commissione) ha dato atto di aver trasmesso una lettera di addebiti (statement of objections, o SO) a Google contestando alcune condotte qualificate come self-preferencing attraverso cui la società avrebbe abusato della propria posizione dominante nel settore della fornitura di servizi pubblicitari online. Tra le possibili misure rimediali la Commissione ha per la prima volta in questo settore espressamente considerato la possibilità di adottare misure di natura strutturale.
L’invio dell’SO è avvenuto a esito del procedimento istruttorio avviato dalla Commissione nei confronti di Google nel giugno 2021 e riguardante le interazioni tra le sue attività nell’ambito della fornitura di servizi pubblicitari online non collegati a una ricerca (i cc.dd. display ad).
In generale, le attività in questo settore riguardano: (i) la fornitura ai titolari di spazi pubblicitari online (ad es. blog o siti web di quotidiani) (i Publisher) di sistemi per l’offerta di tali spazi (publisher ad servers); (ii) la fornitura agli inserzionisti di sistemi di gestione della pubblicazione dei propri annunci (ad buying tools); e (iii) la fornitura di piattaforme di intermediazione (ad exchanges) su cui sono gestite gare per l’assegnazione in tempo reale degli spazi pubblicitari.
Google è attiva in tutti questi mercati come operatore verticalmente integrato, godendo, secondo le considerazioni contenute nell’SO della Commissione, di una posizione di dominanza sia nella fornitura di publisher ad servers che di ad buying tools (attraverso, rispettivamente, i suoi servizi DFP e Google Ads/DV 360), oltre che essere attiva anche nella fornitura di servizi di intermediazione, attraverso la piattaforma AdX.
Nella ricostruzione della Commissione, Google avrebbe abusato della propria posizione dominante:
(i) favorendo il proprio servizio di intermediazione AdX nelle gare bandite dai Publisher attraverso la piattaforma DFP (ad esempio, condividendo con AdX i dati relativi alla migliore offerta concorrente); nonché
(ii) permettendo agli inserzionisti che si servivano degli ad buying tool Google Ads e DV 360 di utilizzare unicamente il proprio servizio di intermediazione AdX.
La Commissione ha espressamente qualificato queste pratiche come condotte di self-preferencing, ricomprendendole nei confini delle fattispecie di abuso ex art. 102 TFUE. Nell’ambito di tali condotte, ha preliminarmente sostenuto come eventuali rimedi di natura comportamentale “…non siano probabilmente sufficienti a prevenire il rischio che Google prosegua tali pratiche o ne realizzi di nuove…” (traduzione di cortesia). Infatti, la Commissione ha ritenuto che – data, da un lato, la posizione di dominanza di Google nei mercati delle piattaforme per i Publisher e gli inserzionisti e, dall’altro, l’ampia quota di mercato detenuta dal servizio di intermediazione AdX – Google si troverebbe in una posizione di “...strutturale conflitto di interessi…” (traduzione di cortesia) che potrebbe essere efficacemente superata solo attraverso l’imposizione di rimedi di natura strutturale.
Dati questi presupposti, l’SO in questione appare destinato ad incidere profondamente sul dibattito antitrust. Da un lato, infatti, fa rientrare in maniera espressa per la prima volta il c.d. self-preferencing tra le ipotesi di abuso di posizione dominante standalone. Dall’altro, sembra prefigurare misure rimediali strutturali estremamente incisive che pongono una serie di interrogativi inter alia alla luce della prossima entrata in vigore del Digital Markets Act. Rimane da vedere che approccio sarà adottato ad esito del procedimento in corso.
Alberto Galasso
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Diritto della concorrenza – Italia / Abusi di dipendenza economica e settore postale – Il TAR ha annullato integralmente il provvedimento dell’AGCM che sanzionava Poste Italiane
Con la sentenza pubblicata lo scorso 14 giugno, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (il TAR) ha annullato integralmente il provvedimento (il Provvedimento) con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva irrogato una sanzione pari a circa 11,3 milioni di euro a Poste Italiane S.p.A. (Poste), incaricata del servizio postale universale, per un presunto abuso di dipendenza economica a danno di Soluzioni S.r.l. (Soluzioni), la società alla quale Poste aveva esternalizzato per quasi vent’anni i servizi di recapito e consegna nell’area del Comune di Napoli a seguito di periodiche procedure ad evidenza pubblica.
Nello specifico, la fattispecie contestata a Poste consisteva nell’imposizione, a partire da accordi quadro siglati nel 2012, di alcune clausole ritenute dall’AGCM ingiustificatamente onerose che avrebbero posto Soluzioni in una situazione di sostanziale mono-committenza e che avrebbero portato quest’ultima allo stato di liquidazione (poi revocato) quando i servizi in questione sono stati esternalizzati ad un concorrente nel 2017. Tali clausole consistevano nel divieto di trasporto e consegna congiunto dei prodotti di Poste e di operatori terzi e nella previsione della possibilità per Poste di variare unilateralmente i volumi della prestazione richiesta (le Clausole).
Nella sentenza in esame, il TAR ha innanzitutto confermato la natura di illecito permanente dell’abuso di dipendenza economica, con la conseguenza che il termine prescrizionale di cinque anni dalla commissione dell’illecito previsto per la decadenza del potere sanzionatorio dell’AGCM deve essere valutato a partire dal momento in cui sono cessati gli effetti anticoncorrenziali prodotti dalle Clausole e non dal momento in cui queste sono state formalmente imposte con la sottoscrizione del relativo contratto. Inoltre, il TAR ha ribadito che l’attualità dell’interesse statale all’accertamento dell’illecito è presunta in via assoluta fino allo spirare di detto termine prescrizionale.
Il TAR ha invece accolto le censure in merito al travisamento degli elementi fattuali posti a fondamento del Provvedimento e all’errata valutazione della legittimità delle Clausole. In primo luogo, nel motivare l’asserita asimmetria contrattuale tra le parti, l’AGCM non avrebbe posto la giusta attenzione alla circostanza per cui i contratti venivano conclusi a valle di procedure ad evidenza pubblica a cui Soluzioni partecipava liberamente e grazie alle quali ha generato costanti profitti. Inoltre, secondo il TAR l’AGCM avrebbe omesso di considerare che l’esistenza di altri contratti con operatori assimilabili a Soluzioni dal tenore e dalle modalità di conclusione analoghi fosse un indicatore della legittimità dell’operato di Poste. Parimenti, sarebbe errato ritenere che una situazione di sostanziale mono-committenza determini di per sé una situazione di dipendenza economica, in particolar modo quando detta situazione sia imputabile alle scelte del management della società asseritamente dipendente e la compromissione del suo equilibrio finanziario sia riconducibile all’incapacità del management stesso di sviluppare una “propria autonomia svincolata” dal contratto con un cliente particolarmente significativo. Non sarebbe nemmeno possibile ritenere che Soluzioni sia incorsa in ingenti investimenti fissi per la specifica committenza in quanto la maggior parte dei suoi beni aziendali non costituivano immobilizzazioni bensì costi della gestione ordinaria (come i veicoli in leasing) che, per definizione, sono facilmente rimodulabili.
Quanto alle Clausole, il TAR ha ritenuto che fossero non solo economicamente razionali ma anche coerenti con la normativa settoriale. Infatti, il divieto di trasporto congiunto non impediva di per sé a Soluzioni di prestare i suoi servizi ai concorrenti di Poste ma conferiva a quest’ultima una sorta di “priorità” che appare necessaria per raggiungere gli obiettivi minimi imposti al servizio postale universale. Parimenti, la possibilità di variazione unilaterale dei volumi non solo era coerente con le evoluzioni di mercato ma non era neanche rimessa alla piena discrezionalità di Poste come invece affermato dall’AGCM, essendo questa espressamente limitata al verificarsi di “eccezionali e non pianificabili cali di volumi di corrispondenza”.
Infine, il Provvedimento risulta viziato per quanto riguarda l’analisi degli effetti anticoncorrenziali della condotta asseritamente abusiva, che costituisce uno dei presupposti per la competenza dell’AGCM in materia. Infatti, l’AGCM avrebbe verificato l’incidenza della condotta sul mercato rilevante limitandosi a considerare solo il rischio di uscita dal mercato di Soluzioni, senza valutare se il mancato affidamento dei servizi a quest’ultima a partire dal 2017 fosse in realtà una sostituzione pro-concorrenziale con un operatore più efficiente sul mercato.
Pertanto, con la sentenza in commento il TAR ha sviluppato importanti considerazioni in tema di onere probatorio nella – fino agli anni più recenti limitata – attività di enforcement dell’AGCM in tema di abuso di dipendenza economica, rinforzando in particolar modo lo standard per l’analisi dei presupposti della dipendenza e dell’impatto delle condotte contestate sulle dinamiche concorrenziali. Non resta quindi che vedere se il Consiglio di Stato sarà investito del tema con apposito ricorso.
Niccolò Antoniazzi
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore energetico – Il TAR ha accolto il ricorso proposto da Engie Italia S.p.A. per l’annullamento delle misure cautelari imposte dall’AGCM
Con la sentenza pubblicata lo scorso 15 giugno, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (il TAR) ha accolto il ricorso proposto da Engie Italia S.p.A. (Engie) per l’annullamento delle misure cautelari imposte dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) con i provvedimenti del 12 e del 29 dicembre 2022 nel contesto del procedimento PS12468 e con cui si imponeva alla società di sospendere “provvisoriamente l’applicazione delle nuove condizioni economiche indicate nelle comunicazioni inviate prima del 10 agosto [2022] o nelle analoghe comunicazioni di proposta di rinnovo delle condizioni economiche inviate dopo il 10 agosto, confermando fino al 30 aprile 2023 le condizioni di fornitura precedentemente applicate”.
I due provvedimenti erano stati adottati sulla base del d. l. n. 115 del 9 agosto 2022 (il Decreto Aiuti-bis), convertito in l. n. 142 del 21 settembre 2022; l’articolo 3 del Decreto Aiuti-bis disponeva che, sino al 30 aprile 2023, “è sospesa l’efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consenta all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo ancorché sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte”.
In particolare, ascrivibili a questo genere di clausole erano state considerate dall’AGCM certe determinazioni di Engie in ordine ad alcuni contratti di fornitura nell’ambito dei quali Engie regolava con gli aspetti economici del rapporto con condizioni con scadenze periodiche, mentre le condizioni generali del rapporto si inserivano comunque in un contratto a tempo indeterminato.
Engie aveva, sia precedentemente che successivamente all’adozione del Decreto Aiuti-bis, inviato le comunicazioni con cui informava alcuni tra i propri clienti della scadenza delle relative condizioni economiche, con il conseguente aggiornamento delle stesse, una volta scaduto il termine trimestrale di preavviso concesso al consumatore per l’esercizio del diritto di recesso. L’AGCM aveva ritenuto che tali aggiornamenti, previsti dal contratto di fornitura, fossero equiparabili a modifiche unilaterali delle condizioni economiche, condotte espressamente vietate (rectius: rese inefficaci) dal Decreto Aiuti-bis.
Successivamente all’adozione dei provvedimenti dell’AGCM entrava in vigore il d. l. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito dalla l. 24 febbraio 2023, n. 14 (il Decreto Milleproroghe); l’art. 11, comma 8, del Decreto Milleproroghe ha aggiunto un periodo all’art. 3, comma 1, del Decreto Aiuti-bis, fornendone un’interpretazione autentica precisando che “il primo periodo non si applica alle clausole contrattuali che consentono all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di aggiornare le condizioni economiche contrattuali alla scadenza delle stesse, nel rispetto dei termini di preavviso contrattualmente previsti e fermo restando il diritto di recesso della controparte”.
Engie impugnava il provvedimento dell’AGCM ed evidenziava come le lettere costituissero non una modifica unilaterale, bensì un mero aggiornamento dei corrispettivi giunti a naturale scadenza contrattuale. Parallelamente il Consiglio di Stato (il CdS) si pronunciava il 22 dicembre 2022 su un appello cautelare relativo ad analoga fattispecie; di conseguenza l’AGCM revocava parzialmente il provvedimento impugnato con ricorso da Engie, confermandolo tuttavia nella parte in cui disponeva la sospensione dell’applicazione “…delle nuove condizioni economiche indicate nelle comunicazioni inviate prima del 10 agosto o nelle analoghe comunicazioni di proposta di rinnovo delle condizioni economiche inviate dopo il 10 agosto, per le quali avuto riguardo a contratti a tempo indeterminato non era specificamente individuata o comunque predeterminabile una scadenza delle stesse”.
Due le principali doglianze di Engie:
(i) le sue condotte non configurerebbero una violazione dell’art. 3 del Decreto Aiuti-bis – e quindi, una pratica scorretta ai sensi del Codice del Consumo – poiché la norma avrebbe vietato unicamente di “…modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo…”. Engie ha ribadito di non avere effettuato alcuna modifica unilaterale delle condizioni economiche in corso di validità, ma di avere semplicemente aggiornato le condizioni economiche scadute, non essendo gli aspetti economici del rapporto, vista la struttura dei suoi contratti, definiti nelle condizioni generali;
(ii) l’AGCM avrebbe altresì errato nel ritenere che Engie abbia fornito informazioni non corrette o non complete circa la data di scadenza delle condizioni economiche oggetto di aggiornamento.
Sul primo punto il TAR ha ritenuto “…evidente che nelle condizioni generali di contratto nulla è detto circa la determinazione del corrispettivo di vendita, essendo quest’ultimo oggetto di un separato accordo contrattuale, distinto per ogni singolo consumatore: conseguentemente, seguendo l’originario testo normativo, non appare esser stato imposto dal legislatore alcun divieto all’aggiornamento delle condizioni economiche scadute, atteso che quest’ultima fattispecie si sviluppa senza variazione delle condizioni generali del contratto…”; a supporto di questa argomentazione veniva addotta anche la novella inserita dal Decreto Milleproroghe.
Sul secondo motivo di ricorso, il TAR ha affermato che “…l’omessa indicazione della scadenza delle condizioni economiche non può ex se determinare l’illiceità della pratica, stante la possibilità per l’utente di ricostruire induttivamente tale dato, alla luce dell’originaria stipulazione perfezionata con il professionista. Né potrebbe sostenersi che l’omissione da parte della società della comunicazione periodica di aggiornamento possa consolidare sine die le precedenti condizioni economiche [come pure era stato ipotizzato], atteso che il contratto disciplina specificamente le modalità di aggiornamento delle stesse…”.
Per questi motivi il TAR accoglie il ricorso di Engie annullando i due provvedimenti dell’AGCM con una sentenza di sicuro interesse in quanto riconosce le specificità dei rapporti contrattuali in essere, basati sulla separazione tra regolazione degli elementi economici del rapporto e le condizioni generali di contratto.
Guglielmo Puglisi Alibrandi
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Energy / Contratti di fornitura di energia elettrica e gas – L’ARERA definisce nuove regole in materia di recesso anticipato e di obblighi informativi
Con la delibera 250/2023/R/Gas (la Delibera) adottata lo scorso 6 giugno, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) ha predisposto numerose modifiche alle disposizioni che regolano gli obblighi informativi, sia in fase precontrattuale, sia in fase contrattuale, in capo ai fornitori di energia elettrica e gas nei confronti dei clienti di piccole dimensioni (vale a dire clienti domestici e imprese che impiegano meno di cinquanta dipendenti e che realizzano un fatturato ovvero un totale di bilancio non superiore a dieci milioni di euro).
In primo luogo, la Delibera affronta il tema della possibile definizione di oneri di recesso anticipato (gli Oneri) in capo ai clienti dei contratti di fornitura di energia elettrica, stabilendo che sia possibile applicare detti Oneri solo ai contratti di fornitura di energia elettrica che siano, allo stesso tempo: (i) a prezzo fisso (anche se prevedono, allo scadere della validità di tale prezzo fisso, l’applicazione di un prezzo variabile – in tale caso, però, gli Oneri potranno essere applicati solo con riferimento al recesso esercitato nel corso del primo periodo, di vigenza del prezzo fisso); e (ii) di durata determinata, oppure di durata indeterminata ma con condizioni economiche di fornitura (le CEF) aventi durata determinata (anche qui, l’applicazione degli Oneri sarà possibile solo con riguardo al recesso esercitato nel corso del primo periodo).
La Delibera chiarisce, poi, che l’esercizio dello ius variandi da parte dell’impresa fornitrice di energia elettrica comporta l’automatica decadenza dell’eventuale applicazione di tali Oneri, anche laddove il cliente finale receda successivamente all’applicazione delle nuove condizioni e prima della scadenza del contratto (nel caso di contratti di durata determinata) o della prima scadenza delle CEF (nel caso di contratti di durata indeterminata, ma con CEF di durata determinata).
Inoltre, viene imposto ai fornitori di energia, (i) di indicare precisamente, sia nell’offerta di fornitura sia nel successivo contratto di fornitura, le somme che verranno richieste per il recesso, eventualmente differenziate ed esplicitate in base al periodo intercorrente tra la data del recesso e la data della scadenza naturale del contratto o delle CEF, specificando che tale somma costituisce l’importo massimo, suscettibile di diminuzione alla luce delle effettive perdite economiche derivanti in capo al fornitore in virtù del recesso e (ii) di adeguare (al ribasso) le somme effettivamente richieste ai clienti finali alla luce di tali perdite effettive.
In secondo luogo, come anticipato, la Delibera impone nuovi obblighi informativi in capo ai fornitori di energia elettrica e gas con riguardo a quei contratti che prevedano – alla scadenza della validità delle CEF (e oltre alla facoltà per il fornitore di rinnovare, anche tacitamente, le CEF giunte a scadenza per un ulteriore periodo di tempo determinato) – la facoltà per il fornitore, a far data da detta scadenza, di applicare nuove e differenti CEF per un nuovo periodo di tempo predefinito.
In quest’ultimo caso, infatti, fatto sempre salvo il diritto di recesso in capo ai clienti, la Delibera impone alle imprese di procedere con una comunicazione ad hoc in forma scritta – denominata “Proposta di rinnovo delle condizioni economiche con modifica delle medesime condizioni” – che contenga tutti gli elementi necessari ai clienti al fine di valutare la convenienza delle nuove CEF (come, ad esempio, la decorrenza e scadenza delle nuove CEF, una stima della spesa annua conseguente all’applicazione delle nuove CEF, una stima della variazione della spesa annua rispetto alle CEF applicate in precedenza, etc.). Comunicazione, questa, che deve necessariamente pervenire al cliente non meno di tre mesi prima rispetto alla scadenza delle CEF precedenti – pena l’applicazione di un neo-introdotto indennizzo automatico in favore del cliente – e che si presumerà ricevuta da quest’ultimo una volta trascorsi dieci giorni dall’invio.
Infine, la Delibera affronta anche il tema dei contratti di fornitura di energia elettrica e gas che – per effetto della sospensione delle modifiche unilaterali di tali contratti stabilita dal Decreto Aiuti-bis fino al 30 giugno 2023 – paradossalmente presentano condizioni economiche “congelate” peggiori rispetto alle condizioni di mercato attuali. Con riguardo a tali contratti, infatti, la Delibera ha introdotto una disciplina transitoria – in vigore fino al 31 dicembre 2023 – che permette alle imprese energetiche di comunicare ai clienti una variazione unilaterale delle CEF che comporti esclusivamente una diminuzione dei corrispettivi previsti dal contratto, con un termine di preavviso non inferiore ad un mese, anziché di tre mesi.
La Delibera risulta di particolare interesse in quanto assicura, per il futuro, maggiore chiarezza su una materia che – specialmente nell’ultimo periodo – è stata al centro di accesi dibattiti, dei quali si è dato conto in numerose occasioni in precedenti contributi della presente Newsletter (si veda in questo numero il commento alla sentenza del TAR Lazio su impugnazione di Engie). Non resta che vedere, a questo punto, quale sarà l’evoluzione del mercato.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Legal News / Regolazione e settore delle telecomunicazioni – La Corte di Giustizia si è pronunciata sulla compatibilità con le norme euro-unitarie del potere dell’AGCOM di imporre una cadenza minima di fatturazione
Con la sentenza pubblicata lo scorso 8 giugno, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la Corte di Giustizia) si è pronunciata sulla richiesta di rinvio pregiudiziale formulata dal Consiglio di Stato italiano (il CdS) nell’ambito dell’impugnazione di Fastweb S.p.A, TIM S.p.A., Vodafone S.p.A. e Wind Tre S.p.A. (gli Operatori) contro la delibera AGCOM 121/17/CONS (la Delibera), con cui il regolatore nazionale fissava la cadenza di fatturazione dei servizi inter alia di telefonia fissa su base mensile.
Nel 2016 l’AGCOM aveva avviato una procedura di consultazione pubblica nel settore dei servizi di comunicazione elettronica in Italia, alla luce della percepita necessità di tenere conto dell’evoluzione del mercato della telefonia fissa e mobile al fine di garantire agli utenti informazioni trasparenti, comparabili, adeguate e aggiornate sui prezzi in materia di accesso a tali servizi e di utilizzo degli stessi. Nel corso di tale consultazione, l’AGCOM aveva in particolare evidenziato come criticità la cadenza della fatturazione nell’ambito della telefonia fissa. Secondo il regolatore, il crescente disallineamento della prassi commerciale seguita a questo proposito dagli operatori avrebbe infatti reso difficile la comparazione delle offerte da parte degli utenti, dal momento che erano in concorrenza offerte aventi cadenze di rinnovo diverse, con ciò pregiudicando i requisiti di trasparenza e comparabilità delle condizioni economiche delle offerte. Al fine di sanare tale vulnus, adottando la Delibera oggetto di contenzioso AGCOM ha dunque imposto la cadenza mensile di fatturazione dei servizi di telefonia fissa.
La Delibera è stata dunque impugnata dinanzi alla giustizia amministrativa dagli Operatori, che ne hanno dedotto inter alia la contrarietà alle norme europee di settore nonché alla libertà di stabilimento e di circolazione dei servizi.
Sotto il primo profilo, gli Operatori hanno censurato l’assenza nelle direttive che regolano il settore delle telecomunicazioni (e nello specifico le c.d. Direttive Quadro, Accesso, Autorizzazioni e Servizio Universale) di una previsione normativa che legittimi in astratto l’esercizio di un potere regolatorio tanto penetrante quanto quello esercitato da AGCOM con l’adozione della Delibera. Sul punto, la Corte di Giustizia chiarisce che, benché il corpus normativo citato non prevede espressamente la facoltà in capo ai regolatori nazionali di disciplinare la cadenza di rinnovo delle offerte commerciali e quella di fatturazione praticate dagli operatori di servizi telefonici, il quadro delle misure tipizzate dal legislatore europeo deve ritenersi non esaustivo, ben potendo le autorità nazionali adottare tutte le misure necessarie per lo svolgimento delle funzioni attribuite da tali disposizioni e per il perseguimento degli obiettivi da esse previsti. Poiché lo scopo perseguito da AGCOM con la Delibera in oggetto – ossia la tutela della trasparenza e comparabilità delle offerte commerciali a vantaggio degli utenti – si pone in linea con le finalità della normativa europea di settore, deve dunque ritenersi che la misura è legittima. L’intervento regolatorio di AGCOM non risulta censurabile neppure sotto il profilo della proporzionalità, non avendo eventuali misure meno invasive (quali la predisposizione di guide interattive per gli utenti) la stessa efficacia di quella adottata.
Sotto il secondo profilo, gli Operatori hanno dedotto l’eccezionalità della previsione italiana nel quadro europeo, che imporrebbe a un operatore stabilito in un altro Stato membro l’onere di adottare un diverso sistema di gestione e fatturazione per adeguarsi al quadro normativo italiano, con un aggravio in termini di maggiori costi amministrativi. Anche tale censura non trova accoglimento, non essendo provato che tale aggravio sia effettivamente idoneo a dissuadere gli operatori economici di altri Stati membri dall’esercitare le proprie libertà pattizie nel territorio italiano.
La Corte di Giustizia ha quindi concluso per la piena legittimità sotto il profilo del diritto europeo della delibera impugnata.
Alessandro Canosa
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