Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 15 gennaio 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Concorrenza e settore sportivo – La CGUE ha affermato che il quadro previsto dall’Unione Internazionale di Pattinaggio per autorizzare nuovi eventi equivale a una violazione del diritto antitrust

Con la sentenza del 21 dicembre 2023, la Corte di Giustizia dell’UE (CGUE), coerentemente con la coeva decisione relativa ai regolamenti della UEFA e della FIFA (c.d. caso Superlega, si veda la Newsletter dello scorso 8 Gennaio), ha affermato la contrarietà al diritto della concorrenza europeo dei regolamenti dell’International Skating Union (‘Unione internazionale di pattinaggio’, ISU) con riferimento ad alcune previsioni riguardanti la partecipazione degli atleti a competizioni internazionali di pattinaggio diverse da quelle organizzate dall’ISU (Norme di autorizzazione preventiva e ammissibilità), nonché al meccanismo che affidava la giurisdizione esclusiva su eventuali controversie alla Corte Arbitrale per lo Sport (CAS) con sede a Losanna.

La questione origina dalla decisione della Commissione europea (la Commissione) che, nel 2017, a seguito di una denuncia presentata da due atleti olandesi, aveva ritenuto che le norme contenute nello statuto dell’ISU costituissero una decisione di un’associazione di imprese incompatibile con il diritto della concorrenza dell’Unione. Contro tale decisione, l’ISU aveva proposto ricorso avanti il Tribunale dell’UE (il Tribunale) che nel dicembre del 2020 aveva parzialmente confermato la decisione della Commissione, annullando tuttavia la parte relativa all’illeceità delle norme che affidavano giurisdizione esclusiva al CAS (Norme sull’arbitrato). In seguito alla sentenza del Tribunale (già oggetto di commento nella presente Newsletter) l’ISU presentava ricorso anche di fronte alla CGUE, mentre i due atleti e un’associazione sportiva presentavano controricorso per l’annullamento della parte relativa alle Norme sull’arbitrato. I ricorsi sono stati, peraltro, oggetto di analisi da parte dell’Avvocato Generale Rantos (l’AG) con le proprie conclusioni pubblicate nel dicembre del 2022 nelle quali egli sosteneva una errata qualificazione delle condotte come restrittive per oggetto, e suggeriva alla CGUE – seppur confermando la correttezza della parte relativa alle Norme sull’arbitrato – di annullare la sentenza del Tribunale e contestualmente rinviare a quest’ultimo la questione per l’analisi fattuale degli effetti delle condotte al fine di verificare una eventuale classificazione di restrizione della concorrenza “per effetto”.

Con la sentenza in commento, la CGUE – contrariamente a quanto suggerito dell’AG – ha confermato la correttezza dell’analisi della Commissione e del Tribunale per quanto riguarda le Norme di autorizzazione preventiva e ammissibilità e, annullando la sentenza del Tribunale, ha dato ragione alla Commissione per quanto riguarda invece le Norme sull’arbitrato. In particolare – al pari di quanto affermato nel parallelo caso Superlega – secondo la CGUE, le disposizioni contenute nello statuto dell’ISU devono essere considerate contrarie all’articolo 101 TFUE e sarebbero qualificabili come una decisione di un’associazione di imprese restrittiva per oggetto. Secondo la CGUE, infatti, il Tribunale non avrebbe commesso alcun errore di diritto nella propria analisi nel ritenere che le Norme di autorizzazione preventiva e ammissibilità non erano configurate in maniera tale da impedire un utilizzo da parte dell’ISU in maniera arbitraria, discriminatoria e non proporzionata.

La CGUE ribadisce che il potere conferito da simili norme deve essere delimitato da criteri sostanziali chiari, trasparenti e precisi – tali da impedirne un’applicazione arbitraria. Nel caso del campo dello sport, ad esempio, tali criteri possono essere diretti a promuovere lo svolgimento di competizioni basate sulle pari opportunità e sul merito. Ciò nonostante, anche laddove simili criteri siano rispettati, non devono permettere – come nel caso di specie – un’applicazione delle regole secondo modalità discriminatorie e le eventuali sanzioni devono sempre essere basate su criteri oggettivi ed essere proporzionate. Nel caso di specie, inoltre, simili norme non erano giustificate, in modo oggettivamente verificabile, da nessun specifico obiettivo meritevole di tutela.

Infine, per quanto riguarda la compatibilità delle Norme sull’arbitrato con il diritto europeo, la CGUE sostiene che poiché le norme adottate dalle associazioni sportive non possono limitare l’esercizio di diritti e libertà conferite agli individui dalle leggi dell’Unione, esse devono essere soggette ad un controllo giudiziale effettivo, il che implica necessariamente anche la verifica della compatibilità delle Norme sull’arbitrato con il diritto antitrust comunitario.

Sulla base di ciò, la CGUE ha ritenuto che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto, nel ritenere le Norme sull’arbitrato compatibili con il diritto comunitario, solo per il fatto che essere fossero astrattamente giustificabili alla luce di “…legittimi interessi legati alla natura specifica dello sport”. Secondo la CGUE, infatti, le Norme sull’arbitrato sarebbero compatibili con il diritto comunitario, solo se il CAS e le altre autorità giudiziarie svizzere applicassero anche il diritto antitrust comunitario. Tuttavia, dal momento che sia il CAS, sia le altre autorità svizzere applicano non già il diritto antitrust comunitario, tanto è sufficiente, ad avviso della CGUE, per ritenere le Norme sull’arbitrato incompatibili con il diritto europeo. La possibilità di chiedere il risarcimento del danno dinanzi ai tribunali nazionali competenti e di presentare un reclamo alla Commissione o a un’autorità nazionale garante della concorrenza non sono difatti considerati sufficienti a garantire l’efficacia del diritto dell’Unione.

La sentenza in commento risulta di particolare interesse in quanto permette alla CGUE di fornire alcuni chiarimenti in tema di obblighi imposti alle federazioni sportive dal diritto della concorrenza e si pone come un fondamentale passaggio – insieme alla sentenza pubblicata negli stessi giorni sul c.d. caso Superlega, che riprende gli stessi principi – per la verifica alla luce di quest’ultimo del sistema europeo dello sport. Sarà ora interessante osservare gli sviluppi che queste decisioni avranno anche nei giudizi di fronte ai giudici nazionali dei Paesi dell’Unione.

Fabio Bifarini

--------------------------------

Abuso di posizione dominante e servizi di comparazione online – Per l’Avvocato Generale Kokott la Corte di Giustizia dovrebbe rigettare il ricorso di Google contro la sanzione della Commissione nel caso ‘Google Shopping

Con le conclusioni pubblicate lo scorso 11 gennaio, l’Avvocato Generale Kokott (l’AG) ritiene che la Corte di Giustizia dovrebbe confermare la sentenza con cui il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) aveva in larga parte confermato la decisione (la Decisione) della Commissione europea (la Commissione) del 2017 nel caso “Google Search (Shopping)”, ad esito del quale Google LLC e la sua controllante Alphabet, Inc. (Google) erano state sanzionate per aver abusato della propria posizione dominante nei mercati dei servizi di ricerca generica e di comparazione online adottando una condotta di c.d. self-preferencing.

Ripercorrendo brevemente i fatti, nel 2017 la Commissione aveva sanzionato Google per un importo record di oltre €2,4 miliardi per aver asseritamente dato maggior risalto ai risultati di comparazione forniti dal proprio servizio tramite diversa presentazione visiva (fotografie e informazioni più dettagliate in una “box” piuttosto che mero link) e posizionamento preferenziale, nonché grazie ad algoritmi di “aggiustamento” (finalizzati a classificare i risultati di ricerca sulla base della loro rilevanza) che non trovavano applicazione nei confronti dei risultati prodotti da Google ma solo dei servizi di comparazione concorrenti, così determinando un loro posizionamento più in basso. Per la Commissione, tale condotta avrebbe comportato un sensibile incremento del traffico su Google Shopping a discapito dei concorrenti ed avrebbe costituito un abuso di posizione dominante qualificato come self-preferencing. Google aveva quindi presentato ricorso avverso la Decisione, senza successo (si veda la Newsletter del 15 novembre 2021). Da qui, l’ulteriore appello dinanzi alla Corte di Giustizia.

Con le conclusioni in commento, l’AG ha raccomandato alla Corte di Giustizia, pur mostrandosi a tratti critica nei confronti della sentenza del Tribunale, di confermare la sanzione imposta a Google.

In primo luogo, secondo Google, il Tribunale aveva erroneamente confermato che la condotta in esame si discostasse dalla concorrenza basata sui meriti e si fosse – con la propria motivazione – sostituito alla Commissione ritenendo inapplicabili i criteri delineati dalla giurisprudenza Bronner (sviluppati per valutare se il rifiuto di un’impresa dominante a fornire accesso ai propri concorrenti ad una risorsa essenziale costituisca un abuso). L’AG ha ritenuto la non rilevanza della giurisprudenza Bronner nel caso di specie in quanto l’abuso di self-preferencing ha una sua autonoma caratterizzazione e che – nonostante alcune espressioni non chiare del Tribunale che avrebbero potuto suggerire che il motore di ricerca generica di Google condividesse i tratti di una “infrastruttura essenziale” – si trattava piuttosto di un caso di applicazione di condizioni inique/discriminatorie. Pertanto, nel caso di specie non poteva parlarsi di un rifiuto a contrarre, da cui l’inapplicabilità dei criteri delineati in Bronner. Secondo l’AG, applicare gli stringenti criteri delineati in Bronner (ossia un rifiuto a dare accesso ad una infrastruttura essenziale che determina l’eliminazione totale della concorrenza senza alcuna giustificazione oggettiva) ad una discriminazione per self-preferencing ridurrebbe l’effetto utile dell’art. 102 TFUE. In particolare, l’AG ha ritenuto che la condotta in esame non riguardasse un diniego all’accesso di una infrastruttura, bensì un “favoritismo attivo” derivante dall’applicazione di condizioni inique ai comparatori di prodotti concorrenti, discriminandoli. Secondo un’argomentazione invero difficile da comprendere, secondo l’AG l’incentivo a investire e la libertà contrattuale di Google non sarebbero pregiudicate da tale impostazione.

In secondo luogo, Google contestava che il Tribunale si fosse avvalso di elementi supplementari di motivazione che non erano contenuti nella Decisione. Per l’AG, tali censure non sono condivisibili: pur avendo il Tribunale fatto riferimento ad altri fattori come la pretesa “super-dominanza” di Google ed il fatto che – data la natura aperta del motore di ricerca di Google – sarebbe “anomala” la promozione di un tipo di risultati della ricerca specializzata, secondo l’AG non si può ritenere che esso avesse integrato o sostituito indebitamente la motivazione della Decisione.

In terzo luogo, Google censurava la legittimità dei criteri utilizzati dal Tribunale per determinare se e come le Commissione avrebbe dovuto condurre un’analisi controfattuale per verificare l’esistenza di effetti escludenti. L’AG da un lato ritiene che quanto affermato dal Tribunale non potesse esser interpretato nel senso di negare l’esistenza di un obbligo per la Commissione di svolgere un’analisi controfattuale degli effetti reali o potenziali di una pratica, da cui l’inconferenza delle censure di Google; dall’altro conferma che, essendo la pratica contestata basata su due elementi indissolubilmente combinati (ossia l’applicazione di specifici algoritmi di aggiustamento e la presentazione in evidenza nelle “box”), tale legame non poteva essere reciso ai fini di un’analisi controfattuale, in quanto ciò non terrebbe conto della loro influenza congiunta sul comportamento degli utenti. Pertanto, il Tribunale non avrebbe errato nel ritenere che l’analisi degli effetti non potesse essere effettuata isolando quelli di una componente dall’altra, mentre l’unico scenario controfattuale valido sarebbe quello fondato sull’esclusione di entrambi i componenti.

Infine, secondo Google il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che la Commissione non fosse obbligata a valutare se la pratica fosse atta a precludere il mercato a concorrenti altrettanto efficienti (ossia che non vi fosse un obbligo per la Commissione di esaminare il criterio del “concorrente altrettanto efficiente” – Test AEC). Sul punto l’AG – in linea con la casistica più recente (ad esempio, C 377/20 - Servizio Elettrico Nazionale oltre che gli Orientamenti della Commissione sulle priorità nell’applicazione dell'articolo 102 TFUE recentemente rivisti, si veda il blogpost dello scorso 30 marzo 2023) – ha confermato (i) l’assenza di un obbligo per le autorità antitrust di applicare tale criterio e che se la sua applicazione non è ipotizzabile, né la Commissione né il Tribunale possono essere obbligati a esaminare gli argomenti dedotti in tal senso dall’impresa; e che (ii) anche l’attività di concorrenti meno efficienti è meritevole di tutela, specie in mercati in cui è improbabile che un’altra impresa possa, quantomeno in una fase iniziale, essere altrettanto efficiente come l’impresa in posizione dominante. Tuttavia, l’AG ha anche chiarito (ritenendo di dover correggere alcune espressioni ritenute “ambigue” del precedente C 680/20 - Unilever), che l’ambito di applicazione del Test AEC non dovrebbe essere esteso a pratiche non di prezzo, come quella in esame.

Non resta adesso che attendere la sentenza della Corte di Giustizia.

Cecilia Carli

--------------------------------

Diritto della concorrenza – Italia / Intese e settore del trasporto merci marittimo – Il Consiglio di Stato conferma il provvedimento dell’AGCM nei confronti delle società di trasporto marittimo di merci del Golfo di Napoli

Con la sentenza pubblicata il 22 dicembre 2023 (la Decisione), il Consiglio di Stato (il CdS) ha respinto in toto ricorsi proposti da Tra.Spe.Mar S.r.l., Medmar Navi S.p.a. e Mediterranea Marittima S.p.a. (collettivamente, le Ricorrenti) avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR), già oggetto di commento nella presente Newsletter, che aveva confermato la sanzione irrogata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) per un’intesa restrittiva della concorrenza nel settore del trasporto marittimo di rifiuti e carburanti da e verso le isole del Golfo di Napoli (anch’essa oggetto di commento della presente Newsletter).

I fatti traggono origine da una serie di segnalazioni giunte tra maggio 2018 e luglio 2019 (le Segnalazioni) da parte di operatori e fruitori dei servizi di trasporto in parola, con cui si segnalava l’operato del Consorzio Trasporti Speciali Infiammabili e Rifiuti (Cotrasir) e una politica di ripartizione del mercato e di determinazione congiunta delle tariffe praticate.

A seguito di tali segnalazioni, nel gennaio 2020 l’AGCM aveva avviato un’istruttoria nei confronti, inter alia, delle Ricorrenti, conclusasi nel mese di dicembre 2021 con un provvedimento di accertamento di un’intesa unica e continuata dal febbraio 2018 sino a dicembre 2021, e l’irrogazione di sanzioni (il Provvedimento).

Per quanto può interessare in questa sede, le Ricorrenti, tra le altre cose, avevano contestato dinanzi al TAR la legittimità del Provvedimento con riferimento, per quanto qui interessa, anche alla tardiva contestazione dell’illecito a causa del superamento del termine di 90 giorni previsto dall’articolo 14 della l. 689/1981 che, per l’appunto, stabilisce che, in mancanza di contestazione immediata dell’illecito, ciò avvenga entro tale termine. Pur confermando nella sostanza quanto affermato dal TAR (che aveva negato la tardività della contestazione da parte dell’AGCM), è interessante notare come in una certa misura il ragionamento del CdS si differenzi da quello portato aventi nella sentenza oggetto di impugnazione. Infatti, il CdS conferma il principio – che il TAR non aveva accolto in maniera altrettanto netta e che è attualmente oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE proprio da parte del TAR (si veda in proposito la presente Newsletter) – della formale applicazione del termine decadenziale di 90 giorni, mentre il TAR aveva valorizzato la natura discrezionale della valutazione da parte dell’AGCM circa la completezza degli elementi acquisiti. Nel pronunciarsi sul punto, il CdS ribadisce l’applicabilità del termine dei 90 giorni, purché sia “…inteso come decorrente dall’accertamento dell’illecito nei suoi termini essenziali e non dalla mera notizia dello stesso sulla base di una semplice segnalazione…”. Nel caso di specie, il CdS ha ritenuto che l’identificazione dei termini essenziali dell’illecito fosse successivo al deposito di specifica documentazione da parte della Capitaneria di porto di Napoli, avvenuta a fine novembre 2019, sicché l’apertura del procedimento a gennaio 2020 era da considerarsi tempestiva (e il Provvedimento legittimo).

In conclusione, rispetto all’applicazione del termine di contestazione previsto dalla l. 689/1981 ai procedimenti delle autorità indipendenti, la sentenza in commento potrebbe cristallizzare un’ampiezza significativa del controllo del giudice amministrativo sulla tempistica di avvio del procedimento da parte dell’AGCM. Sarà certamente di importanza fondamentale l’esito del summenzionato rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia dell’UE.

Giulia Taglioni

--------------------------------

Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore bancario – il TAR Lazio ha annullato il provvedimento dell’AGCM che sanzionava BNL per pratiche commerciali scorrette

Con la sentenza pubblicata lo scorso 5 gennaio, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha accolto il ricorso presentato da Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. (BNL), annullando così il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che sanzionava BNL per aver indebitamente condizionato i consumatori a sottoscrivere, in abbinamento alla stipula di un mutuo o alla surroga dello stesso, delle polizze assicurative commercializzate dalla stessa banca (il Provvedimento).

Secondo la ricostruzione dell’AGCM, BNL aveva indebitamente condizionato i consumatori subordinando l’erogazione del mutuo o di una surroga dello stesso (i) alla contestale stipula di una polizza assicurativa commercializzata dalla stessa banca, in violazione della normativa regolamentare la quale prevede che il consumatore possa scegliere liberamente di stipulare con compagnie di assicurazione terze un’eventuale polizza – anche se obbligatoria – qualora lo ritenesse più conveniente e (ii) all’apertura di un conto corrente presso il medesimo istituto di credito.

Dinanzi al TAR, l’impugnativa del Provvedimento ha trovato accoglimento con particolare riferimento al fatto che l’AGCM non avesse preso in considerazione i presìdi dettati dalla normativa di settore a tutela del consumatore adottati da BNL.

Invero, il TAR ha accolto tale motivo di doglianza, ma premettendo che l’AGCM non ha in alcun modo sconfinato nel campo dell’Autorità di regolamentazione di settore.

In altre parole, l’AGCM, pur competente a irrogare sanzioni per violazione della normativa a tutela del consumatore, secondo il TAR è incorsa in una carenza istruttoria e in un difetto di motivazione nella misura in cui l’AGCM non ha tenuto in alcuna considerazione i plurimi presìdi adottati da BNL in conformità alla normativa specifica di settore al fine di tutelare i consumatori in occasione della vendita abbinata mutui/polizze. Sul punto, il TAR sottolinea che l’AGCM ha altresì ignorato il parere della Banca d’Italia nel quale non veniva evidenziata alcuna criticità nella trasparenza della documentazione contrattuale fornita da BNL. Il TAR ha quindi reputato adeguata sia l’informativa precontrattuale e sia le misure interne adottate per contrastare i rischi del c.d. misselling (ossia le condotte anomale nella proposizione commerciale di prodotti assicurativi).

Quanto alla carenza del profilo probatorio riguardante la sussistenza pratica commerciale scorretta, il TAR ha ritenuto che la percentuale del 95% di adesione alla polizza per “incendio e scoppio” non fosse idonea di per sé a suffragare la tesi dell’AGCM poiché la polizza era offerta con un costo mensile ridotto se abbinata al mutuo, e pertanto è ragionevole che i consumatori abbiano optato per l’opzione proposta da BNL in luogo di attivarsi autonomamente sul mercato per cercare una soluzione alternativa. In ultima istanza, il TAR ha ricordato che, seppur l’illecito in esame sia di pericolo e non di danno, e fermo restando che, per consolidata giurisprudenza, il numero di denunce o di reclami presentati dai consumatori è assolutamente irrilevante, la sproporzione dei reclami a fronte delle pratiche lavorate (0,1%) avrebbe dovuto imporre all’AGCM un certo rigore istruttorio che, nei fatti, secondo il TAR non è stato osservato in quanto il supporto probatorio ulteriore rispetto alle denunce non era di univoca interpretazione.

Alla luce degli elementi esposti, il TAR ha annullato la sanzione di oltre cinque milioni di euro irrogata dall’AGCM, ritenendo il Provvedimento impugnato viziato per carenza di motivazione e di istruttoria. Pur soggetta a impugnazione innanzi al Consiglio di Stato, si tratta di una sentenza di notevole interesse in quanto coglie l’occasione per puntualizzare la rilevanza della compliance con normativa di settore, nonché la necessità di uno sforzo istruttorio per l’accertamento probatorio della condotta (senza fare mero affidamento sul contenuto delle – scarsissime – segnalazioni).

Giuseppe Schinella

--------------------------------

Appalti, concessioni e regolazione / Appalti, le clausole escludenti contrarie al diritto UE vanno impugnate immediatamente

Con sentenza del 10 gennaio scorso, il Consiglio di Stato ha definito un giudizio in tema di clausole escludenti di un bando per violazione della normativa UE e, riformando la sentenza di primo grado, affronta la questione relativa al termine decadenziale per la loro impugnazione.

La vicenda riguarda un bando dell’Agenzia del Demanio per la riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico. La lex specialis consentiva la partecipazione a raggruppamenti di tipo orizzontale solamente se la capogruppo era in possesso della maggioranza dei requisiti previsti dal bando. Questa previsione era linea con l’art. 92 del d.P.R. 207/2010, ma in contrasto con l’art. 63 della direttiva 2004/18. In tale contesto, l’Agenzia del Demanio ha escluso l’operatore aggiudicatario perché non soddisfaceva questo requisito di partecipazione. L’operatore ha quindi impugnato al Tar l’esclusione e la relativa clausola del bando.

La sentenza di primo grado ha accolto il ricorso. Infatti, il Tar ha ritenuto che l’art. 92 del d.P.R. 207/2010 andava disapplicato perché era in contrasto con il diritto comunitario e che, pertanto, andava annullata la clausola del bando che aveva applicato tale previsione normativa e, con essa, anche il provvedimento di esclusione che l’amministrazione aveva giustificato sulla base di questa clausola. Nell’ambito della sua decisione, il giudice di primo grado non pone questioni sulla tempestività del ricorso contro la clausola del bando. Infatti, anche se una clausola escludente andava impugnata immediatamente entro il termine decadenziale che decorre dalla pubblicazione del bando, il giudice di primo grado ha implicitamente assunto che la disapplicazione della norma interna che aveva giustificato l’adozione della clausola consentisse l’impugnazione della medesima clausola contestualmente al successivo provvedimento di esclusione.

L’Agenzia del demanio ha fatto appello al Consiglio di Stato che ha riformato la sentenza di primo grado. Il Consiglio di Stato equipara la contrarietà alla normativa europea alla violazione di legge e ritiene che, se un provvedimento amministrativo non è conforme alla normativa europea, l’operatore che è leso da tale provvedimento ha l’onere di impugnarlo entro il termine decadenziale previsto nell’ordinamento nazionale. Nel caso di specie, dunque, il Consiglio di Stato statuisce che la clausola del bando andava immediatamente contestata quando il bando di gara è stato pubblicato, mentre è stata tardivamente impugnata solo quando l’amministrazione ha adottato anche il provvedimento di esclusione.

Secondo il Consiglio di Stato la previsione di un termine di decadenza risponde all’esigenza di effettività derivante sia dalla c.d. direttiva ricorsi che dal principio di certezza del diritto, il cui rispetto sembra quindi prevalere rispetto alla rimozione del contrasto.

La decisione apre quindi ad uno scenario in cui il provvedimento amministrativo contrario al diritto UE diviene definitivo e non impugnabile. In tal caso, l’unico rimedio esperibile sembra essere l’azione di risarcimento da comportamento illegittimo della P.A.

Giulia Valenti

--------------------------------