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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 18 novembre 2024
Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni e settore delle telecomunicazioni – Il Tribunale dell’UE ha confermato la decisione favorevole della Commissione europea sull’acquisizione di Liberty Global da parte di Vodafone
Con le tre sentenze [T-58/20; T-64/20; T-69/20] del 13 novembre scorso, il Tribunale dell’UE (il Tribunale) ha rigettato i ricorsi (i Ricorsi) di tre imprese tedesche, NetCologne, Deutsche Telekom AG e Tele Columbus AG (le Imprese Ricorrenti), esperiti avverso la decisione (la Decisione) con la quale la Commissione europea (la Commissione) aveva autorizzato l’acquisizione da parte di Vodafone delle attività di telecomunicazione di Liberty Global (l’Operazione) in Germania, nella Repubblica Ceca, in Ungheria e in Romania.
Ricostruendo i fatti della vicenda, nel 2018 Vodafone, società britannica attiva nella gestione e nella fornitura di reti e servizi di telecomunicazioni mobili, notificava alla Commissione il progetto di concentrazione volto all’acquisizione del controllo esclusivo, in diversi Stati membri, tra cui la Germania, delle attività di telecomunicazione di Liberty Global, società multinazionale attiva nel medesimo settore. L’Operazione consisteva nell’acquisizione da parte di Vodafone del 100% delle azioni di Unitymedia (Unitymedia), società tramite la quale Liberty Global opera in Germania e che controlla le società attive negli altri Stati membri coinvolti.
In data 18 luglio 2019, la Commissione, al termine di una indagine approfondita, decideva di approvare l’Operazione, a condizione che Vodafone rispettasse una serie di impegni diretti a porre rimedio ad alcune potenziali criticità concorrenziali.
In seguito a tale decisione le Imprese Ricorrenti, con i loro rispettivi Ricorsi, hanno adito il Tribunale al fine di ottenere l’annullamento della decisione impugnata, contestando inter alia alla Commissione (i) alcuni errori di valutazione circa gli effetti orizzontali dell’Operazione nel mercato della fornitura al dettaglio dei servizi di trasmissione dei segnali televisivi; (ii) la violazione dell’articolo 2, paragrafo 2 e 3 del Regolamento 139/2004 (il Regolamento EUMR) ai sensi del quale sono incompatibili con il mercato interno le concentrazioni che ostacolano in modo significativo una concorrenza effettiva, “in particolare a causa della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante”.
Il Tribunale, con riguardo agli effetti orizzontali della concentrazione di cui sub (i), in primo luogo afferma che, tenuto conto della totale assenza di sovrapposizioni significative nelle attività svolte dalle parti, queste ultime non potessero essere identificate come concorrenti diretti. In secondo luogo, il Tribunale ha escluso la presenza di un rapporto di concorrenza potenziale, in quanto il fatto che le parti monitorassero le rispettive attività si concretizzava in semplici analisi comparative finalizzate a valutare le pratiche del settore, senza che da ciò potessero dedursi pressioni concorrenziali potenziali o indirette tra le parti.
Il Tribunale ha altresì specificato (in maniera non troppo convincente) che l’asserita esistenza di una posizione dominante collettiva risultante da una collusione tacita tra le parti, da cui deriverebbe l’assenza di un’effettiva concorrenza nel settore – argomentazione avanzata dalle Imprese Ricorrenti – esula dall’oggetto della Decisione (in quanto l’allegazione riguarda la situazione pre-Operazione) e risulta comunque non dimostrata.
Con riguardo alla contestazione di cui al summenzionato punto (ii), il Tribunale ha elaborato un ragionamento secondo il quale una concentrazione può essere dichiarata incompatibile con il mercato interno solo laddove la riduzione della concorrenza sia una conseguenza diretta ed immediata della concentrazione. L’incompatibilità con il mercato interno non può essere considerata come una conseguenza diretta e immediata della concentrazione qualora le parti disponessero già – ex ante – di risorse finanziarie sufficienti a precludere il mercato ai concorrenti, in particolare – così come lamentato in particolare in T-69/20 – tramite l’applicazione di prezzi predatori. In proposito, il Tribunale rileva che, se del caso, sarebbe possibile intervenire ai sensi della normativa antitrust (diversa da quella relativa al controllo delle concentrazioni).
Infine, con riguardo alla censura relativa alla mancata adeguata considerazione, da parte della Commissione, della posizione dominante ricoperta da Vodafone nel mercato rilevante, il Tribunale, con una interpretazione coraggiosa, considera che la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante derivante da una operazione di concentrazione non è di per sé sufficiente per ritenere tale concentrazione incompatibile con il mercato interno e per tale ragione conclude che “[…] the fact that a concentration would create or strengthen a dominant position is not, in itself, sufficient for that concentration to be regarded as incompatible with the internal market, provided that it would not significantly impede effective competition in the internal market or in a substantial part of it ”. Nel caso di specie, secondo il Tribunale, la Commissione poteva legittimamente autorizzare l’Operazione sulla base della considerazione secondo cui l’Operazione inter alia non avrebbe diminuito la pressione concorrenziale esercitata dai concorrenti.
Le sentenze in commento sono di particolare interesse in quanto affermano che, con riguardo alla compatibilità delle concentrazioni con il mercato interno, è necessario valutare non solo la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante, ma anche gli effetti concreti sull’equilibrio concorrenziale dei mercati coinvolti, in quanto, secondo la, ripetiamo, coraggiosa interpretazione fornita dal Tribunale, la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante sarebbe (il condizionale è d’obbligo) solo uno dei casi in cui può osservarsi (ma non necessariamente e invariabilmente si verificherebbe) un significant impediment of effective competition. Non resta che vedere, in caso di appello, se la CGUE manterrà lo stesso orientamento.
Margherita Zucchini
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Concentrazioni e settore delle telecomunicazioni – Il Tribunale UE ha confermato la decisione con cui la Commissione ha autorizzato con impegni la creazione di INWIT
Con la sentenza del 13 novembre, il Tribunale dell’UE (il Tribunale) ha rigettato il ricorso proposto da Iliad Italia S.p.A. (Iliad) avverso la decisione con cui la Commissione europea (la Commissione) aveva approvato l’operazione di acquisizione del controllo congiunto sulla joint venture Infrastrutture Wireless Italiane S.p.A. (INWIT) da parte di Telecom Italia S.p.A. e Vodafone Italia S.p.A. (congiuntamente, le Parti e, complessivamente, l’Operazione), accogliendo gli impegni presentati dalle stesse (la Decisione, già commentata in questa Newsletter).
INWIT è la società che gestisce, sul territorio italiano, le componenti ‘passive’ delle infrastrutture telefoniche presenti in Italia (tra cui 22.000 torri, nel prosieguo riferite come i Siti) e precedentemente detenute dalle Parti. In particolare, per quanto qui interessa, la Commissione aveva segnalato il rischio di possibili effetti di foreclosure a danno dei concorrenti delle Parti (ossia i gestori telefonici, MNO), che avrebbero potuto vedere ridotto il loro accesso a tali infrastrutture.
Per rispondere a tali preoccupazioni, le Parti avevano presentato degli impegni che, nella loro versione finale, prevedevano che INWIT: (i) metta a disposizione dei MNO e dei fornitori di servizi di fixed-wireless access (FWA) terzi, a condizioni ragionevoli e non discriminatorie, lo “Spazio Libero” presente su 4.000 Siti qualificati come disponibili in comuni italiani con più di 35.000 abitanti; e (ii) ponga in essere una procedura di richiesta trasparente che, in combinazione con i sistemi di monitoraggio, garantisca l’attuazione degli impegni (gli Impegni). Considerati sufficienti a dissipare i timori concorrenziali, la Commissione approvava l’Operazione rendendo vincolanti gli Impegni.
Con il suo ricorso, Iliad aveva chiesto l’annullamento della Decisione, sostenendo che gli Impegni non fossero idonei a risolvere gli effetti anticoncorrenziali dell’Operazione, in quanto: (i) il concetto di “Spazio Libero”, che definisce la disponibilità di un Sito, risultava eccessivamente generico e non avrebbe offerto sufficienti garanzie agli operatori che avrebbero dovuto beneficiarne; e (ii) mancavano dei criteri qualitativi per stabilire quali Siti debbano essere resi accessibili da INWIT, con il rischio di una selezione strumentale dei Siti da parte di quest’ultima.
Il Tribunale, prima di esaminare nel merito le censure di Iliad, si è soffermato sulla generica efficacia dei rimedi comportamentali. In tal senso, i giudici di Lussemburgo hanno evidenziato come, nonostante la preferenza delle istituzioni europee per i rimedi strutturali, anche gli impegni di natura comportamentale possono dissipare le preoccupazioni concorrenziali relative agli effetti di un’operazione, specialmente laddove impongano obblighi di accesso non discriminatorio alle infrastrutture, con efficacia erga omnes, di cui possono beneficiare tutti i terzi interessati.
Venendo agli argomenti addotti da Iliad, il Tribunale ha innanzitutto respinto la prima censura circa la mancanza di chiarezza del concetto di “Spazio Libero”. In tal senso, i giudici hanno sottolineato come le previsioni degli Impegni debbano essere lette alla luce della Decisione, nonché della normativa antitrust e la relativa giurisprudenza, complessivamente idonei a fornire un’interpretazione sufficientemente chiara e univoca degli Impegni. Più in generale, il Tribunale ha ritenuto sufficiente che gli impegni proposti risultino chiari nel dissipare qualsiasi dubbio circa la compatibilità della concentrazione in esame. Non è invece necessario che gli stessi forniscano tutti i dettagli tecnici relativi alla loro attuazione.
Il Tribunale ha respinto anche la seconda censura di Iliad, secondo cui la Commissione avrebbe errato nel non rilevare che, in assenza di criteri qualitativi circa la selezione dei 4.000 Siti cui concedere l’accesso, gli Impegni non avrebbero risolto i dubbi circa gli effetti anticoncorrenziali dell’Operazione in quanto vi sarebbe spazio per una selezione strumentale degli stessi (selezionando, ad esempio, siti al di fuori dei centri storici). Secondo il Tribunale tale preoccupazione è infondata, poiché il numero di Siti da rendere disponibili è tale sia da vincolare la scelta delle Parti, e quindi di INWIT, sia per soddisfare adeguatamente le esigenze tecniche dei loro concorrenti (anche sulla scorta dei precedenti dati sulla domanda di Iliad). Inoltre, una simile strategia escludente costituirebbe una violazione degli Impegni (letti nel contesto della Decisione), il cui rispetto è assicurato, ad esempio, dai meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie relative alle richieste di accesso cui i soggetti terzi, inclusa Iliad, possono ricorrere.
La sentenza del Tribunale risulta di particolare interesse poiché, oltre a chiarire come non sia necessario un eccessivo grado di tecnicità nella redazione degli impegni, sottolinea la rilevanza ed efficacia dei rimedi comportamentali. Peralto ciò appare in linea con le considerazioni svolte, proprio con riferimento al settore delle telecomunicazioni, nel c.d. report Draghi.
Francesco Tognato
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Diritto della concorrenza – Italia / Intese e servizi taxi – Il Consiglio di Stato conferma che Radiotaxi non ha ottemperato alla diffida da parte dell’AGCM di astenersi da condotte restrittive della concorrenza
Con la sentenza n. 8937 resa lo scorso 8 novembre, il Consiglio di Stato (il CdS) ha respinto l’appello presentato da Radiotaxi 3570 Soc. Coop. (Radiotaxi) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (il TAR Lazio) di conferma del provvedimento n. 29969 del 2022, con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) aveva sanzionato Radiotaxi (la Decisione di Inottemperanza) per non aver ottemperato alla diffida contenuta nel provvedimento n. 27244, con il quale l’AGCM aveva accertato la partecipazione di Radiotaxi ad una intesa restrittiva della concorrenza con altre 2 cooperative nel mercato della raccolta e dello smistamento della domanda del servizio taxi (la Decisione di Infrazione).
In particolare, con la Decisione di Infrazione del 2018 (già oggetto di commento nella presente Newsletter), l’AGCM aveva accertato la violazione dell’articolo 101 TFUE da parte di tre società cooperative attive nella fornitura di servizi taxi, tra cui Radiotaxi (nel complesso, le Cooperative). La violazione veniva accertata in relazione alla previsione, negli atti che disciplinavano i rapporti tra le Cooperative e i tassisti aderenti, di clausole di esclusiva di tenore sostanzialmente assoluto, che impedivano a questi ultimi di utilizzare strumenti di raccolta della domanda di servizio taxi – come l’applicazione mobile “MyTaxi” – alternativi a quelli messi a disposizione dalle Cooperative (le Clausole Censurate).
Come di consueto, all’accertamento della violazione del 101 TFUE si accompagnava anche l’ordine per le Cooperative di adottare misure idonee all’eliminazione dell’infrazione e di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli censurati (la Diffida). All’esito della successiva impugnazione, la Decisione di Infrazione veniva confermata dal CdS, diventando, così, definitiva.
Nelle more dell’impugnazione della Decisione di Infrazione, due delle tre Cooperative procedevano alla rimozione delle Clausole Censurate. Radiotaxi, invece, si asteneva dalla loro rimozione o quantomeno rimodulazione, limitandosi a non applicarle. Alla luce di ciò, l’AGCM si risolveva ad avviare un procedimento istruttorio, ad esito del quale adottava la Decisione di Inottemperanza, con la quale, inoltre, irrogava a Radiotaxi una sanzione di 21.000 euro. Anche tale decisione veniva impugnata innanzi al TAR, il quale respingeva in toto il ricorso. Radiotaxi procedeva quindi all’appello, ad esito del quale il CdS ha pronunciato la sentenza in commento.
Il principale gruppo di censure promosse da Radiotaxi nei confronti della Decisione di Inottemperanza e della sentenza del TAR che l’aveva confermata in primo grado attiene alla relazione tra la Diffida, la condotta delle altre Cooperative e l’evoluzione del mercato a seguito della Decisione di Infrazione. Secondo Radiotaxi, infatti, l’AGCM e il TAR avrebbero errato nel ritenere sufficiente ai fini dell’adozione della Decisione di Infrazione il mero mancato adeguamento alla Diffida, dovendosi invece ritenere necessaria un’approfondita valutazione circa l’evoluzione del mercato verificatasi successivamente alla Decisione di Infrazione anche – e soprattutto – per effetto dell’ottemperanza prestata dalle altre Cooperative, che sarebbe andata ben al di là di quanto ordinato dalla Diffida.
Sul punto, il CdS ha chiarito che, nella fase meramente esecutiva del dictum contenuto nella Diffida, l’avvento di eventuali sopravvenienze (sia derivanti da fattori esterni, sia ricollegabili all’ottemperanza prestata da altri partecipanti all’infrazione) non ha alcuna rilevanza. Secondo il CdS, infatti, sebbene la Diffida dell’AGCM non imponesse necessariamente la rimozione completa delle Clausole Contestate, essa tuttavia imponeva quantomeno una loro rimodulazione che permettesse ai tassisti aderenti di poter utilizzare altri strumenti di raccolta e smistamento della domanda di taxi, perlomeno per quella parte di capacità inutilizzata dalle Cooperative. E poiché tali obblighi rivestono la natura di una prestazione di facere di natura non solidale, essi gravano indistintamente su tutte le imprese partecipanti all’infrazione, e non vengono meno in virtù dell’eventuale ottemperanza prestata da altre partecipanti all’infrazione.
Diversamente ragionando, infatti, si priverebbe la Diffida del proprio effetto utile, posto che si “…[d]isincentiverebbe l’ottemperanza di un qualunque provvedimento antitrust qualora avente più destinatari, potendo ciascuno di essi sperare ovvero approfittare del fatto che l’ottemperanza delle altre imprese compartecipi del medesimo illecito plurisoggettivo possa soddisfare le ragioni della concorrenza…”. In tal senso, conclude il CdS, non può costituire ottemperanza alla Diffida la mera non applicazione delle Clausole Contestate da parte di Radiotaxi, dal momento che essa imponeva chiaramente la loro rimozione o la loro rimodulazione – in sostanza, un “…intervento specifico ovvero un comportamento attivo che segni una soluzione di continuità con il passato…”.
La pronuncia oggetto del presente commento appare di particolare rilievo, poiché sottolinea con nitidezza l’importanza di una piena e proattiva condotta da parte delle imprese sanzionate per aver violato la disciplina antitrust al fine di rimuovere i profili anticompetitivi individuati dall’AGCM.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Intese e settore dei diritti TV – Il Consiglio di Stato conferma la legittimità del provvedimento dell’AGCM relativamente ai diritti TV per la visione delle partite Serie A all’estero
Con la sentenza pubblicata lo scorso 13 novembre, il Consiglio di Stato (il CdS) ha respinto tutti i motivi del ricorso proposto da IMG Meda Limited e IMG Worldwide LLC (le Ricorrenti), avverso il Provvedimento (il Provvedimento) con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) aveva sanzionato, oltre alle Ricorrenti, le società del gruppo B4 e del gruppo MP Silva (complessivamente, le Società sanzionate).
L’AGCM aveva, infatti, accertato che le condotte poste in essere dalle Società sanzionate nelle procedure di gara indette dalla Lega Serie A per l’assegnazione dei diritti TV per la visione delle competizioni all’estero – i c.d. diritti internazionali – integrassero un’illecita intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’articolo 101 TFUE. Le Ricorrenti avevano quindi proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (il TAR Lazio), proponendo i seguenti motivi di impugnazione: (i) sotto il profilo procedurale, il mancato tempestivo svolgimento dell’istruttoria, in violazione dei termini previsti dall’articolo 14 della legge n. 689/1981; (ii) il mancato rispetto del diritto di difesa delle Ricorrenti, in violazione dell’articolo 6, paragrafo 3 della CEDU; (iii) nel merito, il difetto d’istruttoria e l’erroneità delle affermazioni in ordine all’esistenza ed alla quantificazione dei danni concorrenziali causati; e (iv) ancora sotto il profilo procedurale, la violazione del principio di collegialità delle decisioni dell’AGCM. Il TAR Lazio, tuttavia, respingeva tutti i motivi del ricorso.
Le Ricorrenti hanno quindi appellato la sentenza del TAR Lazio davanti al CdS, chiedendo inter alia la sospensione del giudizio nelle more della decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) sulla questione pregiudiziale in merito alla conformità dell’articolo 14 della legge n. 689/1981 con l’articolo 101 TFUE circa l’obbligo dell’AGCM di avviare tempestivamente il procedimento istruttorio una volta a conoscenza dei fatti rilevanti.
Partendo dall’ultima questione proposta, il CdS ha ritenuto irrilevante il quesito pregiudiziale rispetto alla vicenda in esame. Il rinvio pregiudiziale pendente innanzi alla CGUE, infatti, riguardava il termine di 90 giorni per la notifica dell’avvio di un’istruttoria previsto dall’articolo 14 con riferimento, tuttavia, alla fase pre-istruttoria. L’oggetto del presente giudizio invece riguardava un’asserita eccessiva durata della fase infra-procedimentale, ossia dopo il suo avvio. A detta del CdS, pertanto, la decisione della CGUE non avrebbe potuto causare alcuna incidenza, neanche interpretativa, sulla questione in esame.
Per quanto concerne la presunta violazione dell’articolo 6 della CEDU, su cui si è focalizzata la sentenza in commento, il CdS ha rilevato come il provvedimento di avvio del procedimento istruttorio fosse dettagliato sulla natura e sui motivi dell’accusa e fosse stato comunicato nel più breve tempo possibile, in osservanza quindi dei diritti di difesa protetti dal suddetto articolo. In merito alla riqualificazione giuridica del fatto contestato, inoltre, è stato evidenziato come sia fisiologico che la qualificazione dell’illecito possa essere arricchita e precisata all’esito del completamento dell’attività istruttoria, adibita proprio alla raccolta delle evidenze e al contraddittorio con le parti. È stato anche sottolineato come non si sia verificata alcuna radicale mutazione dell’imputazione – che si contestava essere fondata su fatti nuovi non sottoposti al contraddittorio – ma che si sia trattato di una mera precisazione, consistente nel riconoscimento dell’esistenza di un’unica intesa trilaterale. Allo stesso modo, è stato ritenuto legittimo il supplemento istruttorio, dovuto proprio alla necessità di svolgere un accertamento completo, a seguito degli apporti difensivi delle parti stesse. Anche la durata di tale attività supplementare è stata ritenuta congrua rispetto alla complessità dell’accertamento svolto. Il CdS non ha rilevato quindi nessuna violazione delle prerogative difensive delle parti e ha quindi escluso una contrarietà all’articolo 6 della CEDU.
Infine, il CdS ha ritenuto inammissibili i rimanenti motivi – nello specifico i motivi (iii) e (iv) – per mancanza di interesse. Un eventuale loro accoglimento, infatti, non avrebbe comportato alcuna utilità per il ricorrente poiché, trattandosi di un’intesa restrittiva per oggetto e quindi di un comportamento di per sé dannoso alla concorrenza, non occorreva esaminare gli effetti del comportamento stesso.
Il CdS ha pertanto confermato la legittimità del Provvedimento dell’AGCM e delle conseguenti sanzioni imposte.
La decisione in commento rileva poiché ha evidenziato come una diversa qualificazione giuridica del fatto contestato dall’AGCM, così come un supplemento istruttorio, non comportino di per sé una violazione procedurale lesiva dei diritti di difesa delle parti.
Maria Teresa Loiudice
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Legal News / GDPR e pratiche commerciali sleali – Il giudice può ordinare l’interruzione del trattamento illecito di dati personali se il concorrente lo richiede
Con la sentenza del 4 ottobre 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) ha statuito che il diritto europeo non osta ad una normativa nazionale che consente al concorrente di adire il giudice civile per ottenere l’interruzione di una pratica commerciale sleale quando tale pratica consista nella violazione del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (il GDPR).
La vicenda che ha dato origine a questa pronuncia riguardava un farmacista tedesco (il Farmacista) che dal 2017 vende medicinali online utilizzando la piattaforma Amazon Marketplace. Per poter acquistare farmaci tramite questo canale, i potenziali clienti devono fornire alcuni dati personali, fra cui nome e indirizzo di consegna.
Un concorrente del Farmacista (il Concorrente) si è rivolto al giudice civile affinché ingiungesse al Farmacista di cessare tale attività. Ad avviso del Concorrente, la richiesta di nome e indirizzo agli utenti costituirebbe un trattamento di dati sensibili, in quanto capaci di rivelare lo stato di salute degli acquirenti. Il Concorrente ha in particolare evidenziato come, alla luce del GDPR, questo trattamento richieda necessariamente il valido consenso dell’interessato, consenso che il Farmacista non avrebbe mai acquisito.
La questione circa il diritto del Concorrente ad ottenere il rimedio dell’inibitoria era tuttavia controversa ed è giunta sino alla corte suprema tedesca (il Giudice del rinvio).
Secondo la legge tedesca, infatti, un concorrente vittima di pratiche commerciali sleali può chiedere al giudice civile un ordine di interruzione della condotta illecita. Tuttavia, non era chiaro se una violazione del GDPR potesse costituire una pratica commerciale sleale ai fini di tale disposizione. In particolare, il Giudice del rinvio si è posto il problema del se una risposta positiva a tale quesito non avrebbe interferito con il sistema dei rimedi previsti dal GDPR stesso. Il GDPR è infatti il frutto di una completa armonizzazione del settore della protezione dei dati personali a livello europeo. Esso non prevede espressamente la possibilità di adire il giudice civile per ottenere l’inibitoria del trattamento di dati illecito.
Per comprendere se il rimedio nazionale fosse compatibile con il sistema di tutele europeo, il Giudice del rinvio ha dunque sollevato la questione davanti alla CGUE.
La CGUE ha in primo luogo ricostruito il sistema di rimedi previsti dal GDPR. Nello specifico, il GDPR prevede (i) la possibilità di fare reclamo ad un’autorità amministrativa indipendente, che ha il dovere di esaminare ogni presunta violazione del diritto alla protezione dei dati, e (ii) il diritto di rivolgersi ad un giudice civile per chiedere il risarcimento del danno. La CGUE ha ricordato come tale diritto non riguardi solo il soggetto i cui i dati sono trattati, ma “chiunque” sia negativamente colpito dalla violazione.
In secondo luogo, la CGUE ha ricordato che una violazione del GDPR possa costituire anche una violazione della tutela consumeristica, nonché una pratica commerciale sleale. La CGUE ha inoltre evidenziato come, alla luce della propria recente giurisprudenza, una violazione GDPR nei mercati digitali assuma anche rilievo determinante nell’accertamento di un abuso di posizione dominante.
Alla luce di tali elementi, la CGUE ha dunque ritenuto che il diritto di chiedere l’inibitoria non sia incompatibile con il sistema di rimedi del GDPR. Questo per due ordini di ragioni. Primo, in via diretta, l’inibitoria e i rimedi del GDPR perseguono finalità differenti, rispettivamente la tutela del concorrente e la tutela del diritto alla protezione dei dati. Secondo, in via indiretta, l’inibitoria accresce l’effettività del diritto (fondamentale) alla protezione dei dati, a cui il legislatore europeo ha voluto conferire uno standard di tutela molto elevato.
La sentenza è particolarmente interessante perché mostra una sempre maggiore compenetrazione fra i settori della tutela della privacy, la tutela dei concorrenti che agiscono nel rispetto della normativa applicabile e in generale della regolazione dei mercati digitali.
Massimiliano Gelmi
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